È probabile che se chiedessimo ai
fan di Star Trek quale serie amino di più e per quali ragioni, avremmo risposte
discordanti, e forse ci sentiremmo
indicare gli stessi elementi ora come un
difetto o un limite, ora come un pregio
o una peculiarità. Anche gli amanti a spada tratta della serie classica (tra
cui il sottoscritto) non possono negare che questa soffra talvolta di grosse
ingenuità; tuttavia essa annovera un episodio che, a mia conoscenza, non ha
eguali nelle altre serie (Next Generation, Deep Space 9) per densità di
richiami letterari e per complessità strutturale, al punto da chiamare in causa un aspetto che è più facile
incontrare trattando di letteratura che
di serie televisive: il nesso spesso vitale tra un’opera e il suo titolo. Mi
riferisco all’episodio n.13 della prima stagione, intitolato, nella versione inglese
“The conscience of the King”, ma tradotto in italiano “La magnificenza del Re”.
Teniamo a mente questa differenza perché è il nodo di tutta la questione.
Innanzitutto la trama dell’episodio: il capitano Kirk sospetta che il celebre attore Anton Karidian sia in realtà il criminale politico Kodos detto “il carnefice”, dato ufficialmente per morto vent'anni prima. Kodos, governatore del pianeta Tarsus IV, aveva ordinato l’esecuzione di migliaia di abitanti durante una grave carestia, per consentire ai superstiti di sopravvivere, e tra le vittime vi erano stati anche familiari dello stesso Kirk. Questi, volendo indagare, si offre di accompagnare con l'Enterprise la compagnia teatrale di Karidian, specializzata in drammi di Shakespeare, sul prossimo pianeta previsto dalla loro tournée; nella compagnia vi è anche la figlia di Karidian, Lenore, da cui Kirk è peraltro notevolmente attratto e che sembra ricambiarlo. Karidian intende sdebitarsi del passaggio intrattenendo l’equipaggio con la rappresentazione di un dramma di Shakespeare. Indagando su una serie di omicidi coincidenti con le tappe della tournée della compagnia, il primo ufficiale Spock scopre che le vittime erano accomunate da un elemento biografico: erano tra le poche persone ancora in vita in grado di riconoscere de visu "Kodos il carnefice"; inoltre, a bordo dell’Enterprise vi sono due di queste persone: lo stesso Kirk e un altro membro dell'equipaggio e infatti entrambi subiranno, durante il viaggio, un tentativo di omicidio.
Kirk sottopone Karidian a un test che lo convince della sua identità con Kodos, e così, mentre la compagnia mette in scena Amleto, l'assassino viene allo scoperto per uccidere Kirk: è Lenore, che all'insaputa del padre aveva via via eliminato tutti i testimoni in grado di smascherarlo. Karidian, nel tentativo di impedire che Kirk venga ucciso, è colpito a morte da Lenore, la quale, a causa del dolore, perde la ragione.
L’episodio, come vedremo, è di
eccezionale densità perché, oltre a fitte corrispondenze letterarie, sfrutta
profondamente l’espediente del metateatro. Se gli sceneggiatori e il regista
fossero completamente consapevoli di tale risultanza non saprei dire, anche se
sarei propenso a negarlo e a pensare piuttosto che si sia verificata una felice
coincidenza di elementi; ma l’efficacia di ciò che ne è risultato resta fuori
discussione.
Il metateatro (altrimenti detto
“teatro nel teatro”) è l’espediente di inscenare all’interno di una
rappresentazione un’altra rappresentazione. Nell’episodio in esame, possiamo
riconoscere tre livelli di meateatro: due prodotti dal suo particolare intreccio
e uno strutturale alla serie nel suo
insieme. Partiamo da quest’ultimo, osservando che la serie classica di Star
Trek ha un’impostazione
fortemente teatrale, determinata sia dalla recitazione dei suoi protagonisti e
antagonisti principali, sia dai limitati mezzi tecnici ed economici. Le scene
di interno erano girate in piccoli studi / teatri di posa e così la gran parte
delle scene ambientate sulla superficie di pianeti, che si distinguevano in
modo imbarazzante dalle rare esterne,
non potendo nascondere i contorni del
palcoscenico e del fondale né tantomeno le ombre multiple proiettate
dalle luci artificiali; gli arredi erano scarsi e spesso palesemente riciclati.
L’obiettivo del realismo era talmente fuori portata che si risolse di
sostituirlo col pittoricismo e il simbolismo: ambienti per lo più spogli, contrassegnati
da pochi oggetti carichi di significato, tanto che in alcuni casi sembra di essere
di fronte e dei veri e propri quadri metafisici in tre dimensioni. Guardare un
episodio della serie classica di Star Trek significa, oggi forse ancora più di
allora, combinare la normale ‘sospensione dell’incredulità’ richiesta dalla
fiction con la consapevolezza di assistere non a una ipotetica realtà futura,
ma alla rappresentazione teatrale di
quella ipotetica realtà.
Come inzia il nostro episodio? Con un
primo piano su un pugnale insanguinato: via via che il campo si allarga e
intervengono le voci, si capisce che stiamo assistendo alla rappresentazione
teatrale del Macbeth di Shakespeare e proseguendo scopriamo che ci troviamo sul
pianeta dove la compagnia di Karidian aveva in programma uno spettacolo; ad
esso assistono il capitano Kirk e suo amico Dr. Leighton, che ha attirato lì l’Enterprise
con un pretesto, desiderando in realtà confidare all’amico Kirk la sua certezza
sull’identità tra Karidian e Kodos, dato per morto vent’anni prima.
Il primo livello di metateatro ha
agito subito in apertura creando un’ambiguità: viene ripresa una scena “in
costume” recitata sul palcoscenico, all’interno di un'altra scena con gente “in
costume” che sono i personaggi di un telefilm teatralizzante: tra le due
dimensioni non si percepisce alcuna differenza finché essa non viene evidenziata
a forza da un dialogo tra spettatori: il dr. Leighton che dichiara a Kirk che la voce dell’attore Karidian
è inconfondibilmente quella di “Kodos il Carnefice”.
Passiamo ora al secondo livello di metateatro:
a brandire il pugnale era proprio Karidian, nei panni di Macbeth che pugnala a
morte il dormiente re Duncan. Per quanto concerne il personaggio di Macbeth,
basterà qui ricordare che egli, sensibile all’ambizione di conseguire i più
alti onori, è combattuto tra la tentazione di ricorrere a vie disoneste e la
consapevolezza che la sua coscienza, in quel caso, lo tormenterebbe senza
scampo. Tuttavia, allettato dalle profezie delle tre streghe indovine e aizzato
dalla dialettica della moglie, virago per certi tratti ‘demoniaca’, intraprende
la strada del delitto in una rovinosa escalation di morte, orrori e ironia
tragica.
La sceneggiatura, insomma, ci
suggerisce fin da subito l’identificazione Karidian = MacBeth, il che vuol dire
la possibilità di giocare a trasferire le qualità dell’uno nell’altro:
ambizione, capacità di compiere efferatezze, tormento della coscienza.
Nella scena iii dell’atto I,
Macbeth vede per la prima volta le tre streghe che così si rivolgono a lui:
PRIMA STREGA: Salute a te, MacBeth, barone di Glamis!
SECONDA STREGA: Salute a te, MacBeth, barone di Cawdor!
TERZA STREGA: Salute a te, MacBeth, che sarai re!
Se l’identificazione Karidian = MacBeth
funziona nei due sensi, allora potremmo riformulare il saluto delle streghe in un'unica
battuta:
STREGHE: Salute a te, Karidian, tu che fosti Kodos!
Il richiamo fonetico Cawdor/Kodos sembra intrecciare nelle trame imperscrutabili
del fato il futuro prossimo di MacBeth e il
passato lontano di Karidian.
Lasciamo ora il MacBeth per passare ad Amleto: il dramma che la compagnia
di Karidian ha scelto di inscenare sull’Enterprise in cambio del passaggio. Qui
l’espediente del metateatro raggiunge un ulteriore livello di profondità e di
rispecchiamento, attraverso un meccanismo di anticipazione.
All’inizio del dramma, Amleto, pur inquieto
e immalinconito oltre misura dalla morte del padre e dalle nozze della madre
con lo zio Claudio, non è agitato da sospetti consci, né da una rabbiosa brama
di vendetta (priva peraltro di un plausibile
destinatario): sarà il fantasma del padre a infiammarlo, a spingerlo a
architettare la vendetta e a nascondere i suoi propositi dietro una pazzia
recitata.
La corrispondenza è ora tra Kirk e
Amleto: il primo, come il secondo, non è in principio ossessionato dalla
vendetta per la morte di un congiunto ed è molto cauto, se non scettico, di
fronte alla sicurezza di Leighton. Quando però quest’ultimo viene ucciso
(diventando così l’equivalente del “fantasma veridico” di re Amleto), allora
Kirk è contagiato dalla stessa febbre e si convince sempre più che Leighton
avesse ragione.
L’arrivo a Elsinore di una
compagnia di attori girovaghi suggerisce ad Amleto il piano di rappresentare a
corte un regicidio per impressionare re Claudio e farlo tradire. Analogamente,
Kirk chiede a Karidian di leggere di fronte a un analizzatore vocale il
famigerato discorso pronunciato da Kodos vent’anni prima, con cui ordinava l’esecuzione
di 4.000 civili, al fine di avere un confronto cogente e stabilirne una volta
per tutte l’identità. Karidian non ha
nemmeno bisogno di leggere il testo,
dimostrando di conoscerlo a memoria: il radiodramma organizzato da Kirk ha
messo Karidian in trappola. Quando re Claudio, infastidito dallo spettacolo
messo in piedi da Amleto, gli chiede il titolo, Amleto risponde: “Trappola per
topi”; ma già al termine del soliloquio di II, ii aveva preannunciato che:
"the play's the thing
Wherein I'll catch the conscience of the king".
"the play's the thing
Wherein I'll catch the conscience of the king".
Dr. Leighton = fantasma di re Amleto; Elsinore = Enterprise; Kirk =
Amleto; Karidian = re Claudio; Trappola per topi = comunicato di Kodos.
Vediamo così che l’Amleto, esso stesso un dramma metateatrale in cui la finzione del palcoscenico serve a
rivelare la verità del dramma, è anticipato e ricalcato nella realtà dell’episodio di Star Trek.
Ma le corrispondenze non finiscono qui, e anzi si confondono:
dietro le quinte dell’Amleto
inscenato dalla compagnia di Karidian, Lenore cerca di eliminare Kirk e
accidentalmente uccide suo padre.
Un
assassinio involontario che si compie dietro il tendaggio che divide
attori e spettatori: esattamente come accade ad Amleto che “scambiandolo
per un topo”, trafigge Polonio nascosto dietro un arazzo nella camera
della regina, per spiare il suo colloquio col figlio.
La morte di Polonio provoca la
pazzia di sua figlia Ofelia, già ferita dal ‘tradimento’ di Amleto.
Il flirt tra Kirk e Lenore rafforza così l’identificazione di Kirk con
Amleto, mentre Karidian/Kodos, proprio per la sua duplice identità, è insieme
Re Claudio rispetto a Kirk e Polonio rispetto a Lenore.
Inscenare la sua pazzia, aveva
comportato per Amleto troncare il gioco d’amore con Ofelia; ma Polonio, capovolgendo le cose, si era convinto
che la pazzia di Amleto fosse vera e causata dal rifiuto di Ofelia; la finta
pazzia di Amleto diventa così la causa della morte di Polonio e della vera
pazzia di Ofelia.
Nella realtà del nostro episodio, la
rottura dell’idillio tra Lenore=Ofelia e Kirk=Amleto è causata indirettamente dal
secondo per aver smascherato Karidian ed essere diventato un testimone da
eliminare. Inoltre, Kirk = Amleto
provoca indirettamente la morte di Karidian -Kodos = Polonio/Claudio
e questa causa la pazzia di sua figlia: la pazzia di Ofelia = la pazzia di
Lenore.
Arrivati al culmine di queste
vorticose corrispondenze, però, la versione italiana dell’episodio ribadisce l’errore
fatale del cambiamento del titolo, facendolo ripetere a Lenore mentre stringe
il corpo senza vita del padre vestito per l’Amleto:
“Ammirate la magnificenza del re!”.
Di magnificenza, qui, non vi è
traccia, e i curatori italiani della serie non hanno capito molto, anzi nulla
di questi rimandi e della funzione organica assunta dal titolo originale che, giustamente,
è “The conscience of the king”, preso direttamente dall’ultimo verso di Amleto II,ii. “La coscienza del re” è la
coscienza di re Claudio, di re Macbeth e di Kodos “re” di Tarsus IV.
Tutto ciò per dire che quando si
tratta di applicare i princìpi dell’arte, non vi è distinzione tra generi, né
classifiche di serietà. Nell’antichità e nel medioevo opere letterarie e
artistiche erano conosciute sotto molti nomi perché, non avendo alcun
titolo, ricevevano denominazioni diverse di chi le citava; a un certo punto,
spesso molto tempo dopo, si definiva un titolo, per lo più postumo, che
aveva finito col prevalere su altri concorrenti.
Un testo classico come l’opera storica
di Tucidide è universalmente nota come “Guerra del Peloponneso” , che però è un
titolo moderno, e per di più inesatto.
Sonetti e canzoni dei poeti europei
di età basso medievale sono identificati di solito dal primo verso, non avendo
gli autori cincepito l’idea di un “titolo suggestivo”, alla maniera di
"Soldati" di Ungaretti, tanto per intenderci.
I titoli dei quadri di Hieronymus
Bosch (chi non conosce "Il giardino delle delizie"?) sono invenzioni
a posteriori: nessuna fonte dell’epoca riporta titoli originali per le opere di
lui conservate.
Gli esempi sono infiniti. Ma nell’arte
e nella letteratura moderne il titolo ha in molti casi una funzione
vitale, organica al contenuto dell’opera, spesso decisiva per la comprensione
esatta dell’opera stessa. Basterebbe pensare alla pittura surrealista: molti
quadri di Dalì subirebbero un danno incalcolabile nella loro comprensione senza
il titolo dato dall’autore. Nel caso delle opere surrealiste o
post-moderne, potremmo addirittura affermare che il titolo contribuisce per
metà, se non più, al valore complessivo della realizzazione.
Nella letteratura contemporanea
certi titoli suggestivi creano suspence nel lettore, che magari deve aspettare
le ultime se non l’ultima pagina per capire “come ci azzecca”: Il nome della rosa, The Catcher in the Rye ad esempio; a volte gli autori inventano quiz
letterari o di cultura che si aspettano siano risolti dai loro “lettori
ideali”: A che punto è la notte (Fruttero e Lucentini) , La casa di Asterione
(Borges), Lot (S. King).
Questi giochi possono anche
raggiungere un livello complesso di richiami letterari interni tanto da farci
addentrare nelle ramificazioni di una vera e propria “vigna del testo”, come
nel caso di questo bellissimo episodio di Star Trek che vede però, nell’edizione
italiana, l’imperdonabile tradimento di Shakespeare.