Dove si parla tra l’altro di focacce, di Intelligenza Artificiale e Stupidità Naturale, delle bomboniere di zia Petunia e del carro da guerra miceneo
Dicembre 2023: esco dal lavoro che
è già buio. Arrivato alla stazione di Cadorna salgo finalmente sul treno che mi
riporterà a casa (e soprattutto lontano dalla volgare chiassosità di Milano,
dal rutilante squallore multimediale di cui questo conglomerato canceroso di
edifici e persone sembra bearsi con ebete compiacimento). Mi siedo in una
carrozza piuttosto tranquilla e, dopo aver controllato giusto un paio di cose
sul telefono, riprendo la lettura del mio attuale libro da viaggio (la Bibbia -
una pregevole edizione paolina degli anni ’60, che alterno con ineffabile - ma
solo apparente - stridore a Shining di
Stephen King).
Prima che il treno chiuda per
l’ultima volta le porte e lasci la stazione, arrivano altri viaggiatori, sicché
la carrozza, se non proprio gremita, è adesso piuttosto affollata; in uno dei
due sedili ancora liberi sul lato opposto al mio si siede da ultima una
ragazzona. È ben vestita, ben curata; le sue movenze, i tratti del viso e lo sguardo sembrano anche suggerire una certa
personalità. La ragazzona estrae dallo zaino un sacchetto di carta contenente una
focaccia di ragguardevoli dimensioni e comincia a mangiarla, con flemma,
decisione e metodo. Il pasto dura alcuni minuti, perché, come detto, non è
vorace, ma calmo e metodico (la fretta toglie dignità, dicevano gli antichi…).
Con un ulteriore gesto di creanza, la ragazzona risparmia l’ultimo lembo di
focaccia, arrotola il sacchetto e lo ripone nello zaino. Dopo di che, estrae
dal giaccone una mascherina nera e se la incolla sulla faccia (la terrà per il
resto del viaggio, fissando il vuoto).

La scena mi colpisce
profondamente, complice la sua sincronicità: infatti ha interrotto la mia
lettura del
Levitico, quando ero arrivato
a un passo ove si parla dell’offerta di focacce
.
Senza scampo, la mia mente è stata proiettata in un vortice di considerazioni
su questi tempi sciocchi e malvagi, e cercherò qui di riproporvi questo viaggio
tramite una sequenza il più possibile sensata di idee, pur mantenendo, di
fondo, il flusso di coscienza che le ha generate.
Prima regola del Covid Fight Club: smetterla di meravigliarsi.
Seconda regola del Covid Fight Club: smetterla di domandarsi perché le
persone si comportano in modo assurdo e cominciare a darsi da soli delle
risposte.
La terza regola del Covid Fight
Club è: nel dubbio, picchiare come fabbri, ma per ora mettiamola da parte e
cominciamo dalla prima, smettendola una buona volta di meravigliarci, perché la
nostra meraviglia ci rende colpevoli e la nostra colpa consiste nel dar credito
a un assioma tanto rassicurante quanto infondato: l’uomo è un essere razionale.
Ora, se io compro un badile dal
ferramenta, non divento per questo un essere "badilare"; diciamo, piuttosto, che
sono “badilare” fintanto che e nella misura in cui uso il badile.
Con la razionalità è esattamente lo
stesso: se qualcuno osa affermare che la razionalità è consustanziale a noi
esseri umani, ossia così profondamente innestata nella nostra natura che,
secondo inflessibile necessità, noi non possiamo che agire sempre e immancabilmente
in modo razionale, allo stesso modo in cui secondo inflessibile necessità respiriamo
l’aria e abbiamo bisogno di bere e mangiare, si faccia avanti ora o taccia per
sempre. E a chi nutre ancora dubbi residuali, suggerisco di riflettere
sull’esistenza delle Slottery, delle lozioni per la ricrescita dei capelli o su
cosa sono i parcheggi dei centri commerciali sotto Natale.
Bene… Possiamo pacificamente
affermare che la razionalità è come un badile: ci rende razionali solo finché e
solo nella misura in cui noi la usiamo.
Qualcuno osserverà: ma si sa… l’uomo è preda di istinti, i casi
della vita ci mettono spesso a dura prova e le emozioni e le passioni obnubilano
la nostra razionalità…
Sì, sì, grazie. Ci eravamo già
arrivati da soli. Gioverà a questo punto chiarire che non ci stiamo riferendo a
situazioni estreme, tipo decidere in una frazione di secondo se girare a
sinistra o a destra per sfuggire a un maniaco armato di machete (o di badile) o
a quando i nostri antenati avvertivano un pizzicore alla nuca perché alle loro
spalle c’era una tigre dai denti a sciabola pronta a balzargli addosso. Quella è roba per il cervelletto rettile.
Parliamo di un altro modo di prendere decisioni, non necessariamente più
‘evoluto’, senz’altro però più lento, più flemmatico e calcolato, come la
masticazione di quella focaccia sul treno.
Dobbiamo immedesimarci (anzi, noi lo siamo tuttora) in un uomo delle
caverne sfuggito alla tigre dai denti a sciabola che ora se ne sta al sicuro
nella sua grotta, seduto accanto al fuoco, e ha tempo e modo, grattandosi la
testa, di aprire il quaderno della partita doppia racchiuso nel suo cervello per
decidere se una certa proposta gli
conviene.
Rendiamoci conto che l’esercizio
della nostra razionalità (per lo meno la porzione di razionalità assegnataci
dagli dèi) è una scelta di pura convenienza
economica, compiuta cioè valutando il
proprio tornaconto personale, il profitto
che ne riceveremo, o meglio che prevediamo
di ricevere. Per inciso, una scelta non molto diversa dall’aderire a una
fede religiosa al solo fine di assicurarsi un salvacondotto per la salvezza
eterna (la logica del non si sa mai…).
Ci stiamo arrivando al Covid, non
temete. Anzi, già rasentiamo l’arcano della ragazzona che prima mangia
flemmatica la focaccia offrendo le sue fauci e la focaccia stessa a
fantastilioni di germi e poi con noncuranza si mette la mascherina… Ma prima
bisogna aggiungere un elemento, ponendo la questione di che cos’è la verità. Per
carità, non la Verità con la maiuscola, in senso assoluto: quello è il Santo
Graal della filosofia e lo lasciamo ad altri. Ai fini delle nostre riflessioni,
ci interessa la natura di un altro tipo di verità, che potremmo chiamare la verità pratica: essa non è che il sistema di credenze fondativo del patto
sociale, il quale permette a una comunità di svolgere in armonia e concordia le
praxeis: lavorare, amministrare,
governare, organizzare, educare, divertirsi.
Qualsiasi organizzazione politica
(cioè: modo di organizzare una polis)
ha bisogno di far convergere le singolarità individuali e coagularle all’interno
di un sistema, condiviso al più alto grado possibile, di ideologia, valori,
princìpi, miti, storia sacra, eroi, immaginari… Ciò richiede a sua volta una possente
macchina generatrice di propaganda, mistificazione, persuasione, coercizione,
distorsione, promozione di modelli e di mode; una fucina perpetua di minacce e
leve di vario genere, di soluzioni uniche e totalizzanti ai pericoli e ai
problemi volta per volta proposti, di promesse di salvezza e sicurezza, di intrattenimento
e repressione, di identificazione e stigmatizzazione di nemici comuni esterni e
interni (che ovviamente cospirano ogni momento tra loro contro la comunità
della gente per bene). Questa costruzione ideologica deve anche escogitare, per
reggersi, le opportune valvole di sfogo per ogni forma di violenza, libido e sadismo, così da canalizzarle e
controllarle. Poiché questa gigantesca macchina mescola in modo inestricabile
tutti i componenti elencati, i più non sono in grado di decodificarne
chiaramente la complessiva natura mistificante e falsificatoria, pur trovandosela
spiattellata ogni giorno sotto il naso, proprio come la lettera rubata di Poe. Un esempio per tutti di questa formidabile
commistione è il fenomeno, noto in ogni luogo ed epoca, e di cui l’Italia della
piena epoca Covid ha rappresentato fulgido esempio, della caccia alle streghe: la persecuzione e repressione di presunti
nemici interni come risposta a un bisogno condiviso di sicurezza, bisogno
generato tramite induzione di una isterica paura collettiva, bisogno che si
traduce in consenso (tacito o dichiarato) del corpo civile a qualunque iniziativa
da parte delle autorità purché ponga fine al pericolo (la salvezza a ogni costo!). In questa situazione la
paura, la rabbia e l’odio della collettività verso le streghe costituiscono solo
una faccia della medaglia: l’altra faccia si manifesta quando la persecuzione e
la soppressione delle streghe da parte dell’autorità viene pubblicizzata e
spettacolarizzata, diventando occasione di intrattenimento e valvola di sfogo per
il sadismo della collettività. Prima la paura, poi il piacere… Fino al prossimo
giro.
Il patto sociale, il
funzionamento stesso dell’organismo politico si basano dunque su una verità concordata, ossia su una Storia Sacra:
vale a dire, capovolgendo i termini, su un sistema condiviso di menzogne a fin
di bene, di miti edificanti, di assiomi e tabù, il tutto funzionale alle
esigenze delle élites attualmente dominanti. Questo baraccone, sia chiaro, sta
in piedi perché la collettività nel suo complesso accetta l’accordo: accetta in
primo grado di credere alla Storia Sacra, e in seconda battuta accetta quanto meno di non contestarla. Io ti lascio fare, tu
mi lasci in pace, si porta avanti la commedia, ci diciamo Buona sera! Ma quanto siamo buoni e bravi! e ci viviamo la nostra
vita. Naturalmente, aderire in toto a
questo sistema di credenze ha un costo e delle conseguenze: l’adesione assoluta
di un individuo a un tale agglomerato mistificatorio è impossibile se questi
tiene accesi ad alto volume la propria razionalità e senso critico. Chi invece rifiuta
di concedere la propria fede (e fedeltà) alla verità pratica di Stato deve
mettersi nell’ottica di vivere in antagonismo permanente con un sistema che è
costituzionalmente ipocrita e falso e di conseguenza di avere una vita sociale scarsa
se non nulla, pochissimi amici, nessuna prospettiva di carriera.
Adesso dovrebbe essere chiaro il
nesso con quanto detto a proposito della razionalità e del fatto che una
persona sceglie di non esercitarla in base a un calcolo economico. Ho voglia o meno di vivere in antagonismo
permanente col sistema? Mi conviene?
Attenzione però che se di base il
principio decisionale è lo stesso per tutti gli individui, esiste una bella differenza
tra chi detiene un potere politico-economico e chi invece è solo un ingranaggio
della società (la ‘gente comune’). Chi detiene un potere politico-economico rinuncia
a esercitare la razionalità - e soprattutto induce gli altri a rinunciarvi – in
vista di un guadagno, dei vantaggi insiti
nella sua posizione. Le persone che non contano nulla rinunciano a esercitare
la loro razionalità in primo luogo per
non subire danni, per non avere rotture di scatole, per evitare di essere vittima
di ostracismi, ritorsioni, reprimende, stigma sociale. Una povera vittima
quindi? Niente affatto, anzi… In questa scelta
dell’ ‘uomo qualunque’ – lo chiameremo d’ora in poi “Signor X” – c’è il risvolto forse più perverso: quando, fatti i conticini
davanti al suo quaderno della partita doppia, il Signor X sceglie di accettare
la verità pratica dello Stato, risparmiandosi così stigma sociale, ostracismi, ritorsioni, sa già
che il sistema gli richiederà di essere lui
stesso esecutore di ostracismi e
ritorsioni nei confronti di chi quella verità di Stato l’ha rifiutata.
Quanto detto finora basta a
spiegare la ragazzona che in treno prima mangia flemmaticamente la focaccia e
poi indossa la mascherina? Certo che no. Andiamo avanti…
Intanto, se ci limitassimo a quanto affermato finora, opereremmo una
enorme semplificazione, peraltro falsata da smodato ottimismo: staremmo da un
lato dicendo che ogni individuo ‘normale’ è nelle condizioni di compiere questa
scelta intellettuale in modo libero e dall’altro suggerendo che chi non
rinuncia alla propria razionalità potrà senz’altro e automaticamente
riconoscere la natura mistificatoria della verità pratica, della Storia Sacra
di Stato. Le cose non stanno per nulla così, è anzi un fatto incontrovertibile che
tantissime persone di ogni estrazione sociale, di ogni grado di istruzione e
delle più svariate competenze professionali, credono razionalmente alla verità pratica di Stato, o se magari non
in toto, quanto meno nelle sue linee
essenziali, quelle sufficienti a garantire loro il sonno dei giusti e vacanze
spensierate.

Di nuovo, però, la faccenda è puramente economica. Ma se finora ci
siamo riferiti all’economia esterna, quella della vita materiale, dobbiamo ora fare
i conti con l’economia interiore, quella che coinvolge la psiche e l’ego. Nel periodo Covid, la campagna di
terrore, e a valanga la sospensione del meccanismo parlamentare e dei diritti
civili con annesso ricatto vaccinale, sono stati resi possibili da una cosa
fondamentale: il consenso, o
altrimenti la assenza di dissenso,
tanto formale quanto tradotto in opposizione concreta. Questo consenso inerme e
inerte, ma potremmo definirlo anche inebetito, e persino allucinato, è stato
estorto sia con la paura, variamente declinata (da quella primordiale della
morte a quella sociale dell’isolamento dalla collettività) sia gettando l’amo
della deresponsabilizzazione (lascio
che altri più competenti decidano per me), tentazione a cui mai come in
quest’epoca gli individui sono esposti, tanto è il terrore che sembra suscitare
oggi l’esercizio del libero arbitrio. Nel XXI secolo noi siamo esattamente come
un uomo delle caverne che, dopo essere sfuggito alla tigre dai denti a sciabola,
seduto accanto al fuoco domestico, si gratta la testa e pensa a quell’altro
problema: l’influenza che si sta diffondendo nella tribù, domandandosi se sia
il caso di seguire gli ordini impartiti dal capo dopo che ha consultato l’indovino.
L’indovino, già… l’esperto della tribù… E chi siamo noi per contraddirlo? Siamo
forse anche noi indovini usciti dal master in divinazione? No! Quindi
affidiamoci ai tecnici dalla divinazione, anche perché, se non lo facessimo, il
resto della tribù ci guarderebbe male, e il capo ordinerebbe di espellerci a
sassate. E poi… poi l’indovino ha detto che c’è un solo modo per guarire la
tribù, che è sicuro, sicurissimo, e soprattutto ha garantito che funziona: dobbiamo
tutti amputarci l’alluce destro e offrirlo in sacrificio all’idolo della Donna
Obesa. Così, entro poche settimane, la febbre cesserà e torneremo a danzare al
suono dei flauti fatti con tibie di capra.
Non sto dicendo nulla di nuovo, la conosciamo tutti questa storia: chi
non crede al paradigma scientifico attuale, chi non si fida e affida al
virologo-indovino ospite del programma televisivo o intervistato al
telegiornale delle 20.00, chi non ride alle gag di Amadeus e Fiorello è un
troglodita, un oscurantista, un cospirazionista, un complottista, un Bastian Contrario,
un pazzo. Sì, in fondo, mi conviene
crederci si dice quindi il signor X. Sembra
proprio un buon affare…
Per i vari Signor X, almeno all’inizio, aderire alla verità pratica di Stato sembrava
davvero un buon investimento, anche dal punto di vista della psiche e dell’ego: significava infatti stare dalla
parte di Karl Popper, del mondo della scienza , degli ‘esperti’, di SuperQuark
e Medicina33, di Gerry Scotti ,di Radio DJ e dei giornali, e quindi – per
proprietà transitiva - significava
essere (o almeno percepirsi) altrettanto colti, intelligenti e progrediti, così come – per
contraltare – non aderire alla verità di Stato sarebbe per loro equivalso a
schierarsi con le streghe e i loro seguaci: individui ignoranti e pericolosi,
adepti dei circoli esoterici di Telegram.
E a maggior ragione quella scelta era buona e giusta perché, come vuole
verità assiomatica (la stessa secondo cui l’uomo è un essere razionale), i
governanti agiscono sempre per il bene della popolazione, mentre a voler male
alla popolazione sono le streghe. Un
investimento eccellente, non c’è che dire.
Peccato però che gli investimenti siano rischiosi e non sempre portano
i risultati auspicati. Infatti passa il tempo e si scopre che una dose non
basta a immunizzare, ce ne vogliono due…
Ohibò, l’indovino è tornato dal
santuario e dice che è necessario anche amputarsi il quarto dito del piede…
mmm…
Anzi, di dosi ne servono tre…
Ohibò, l’indovino è stato di
nuovo al santuario e dice che La Donna Obesa gradirebbe anche il nostro mignolino…
Signor X: “Caspita, ne ho fatte tre e mi sono ammalato lo stesso… beh,
però in fondo la punturina serviva a non prenderlo in forma grave… e poi chi ha
mai detto che preveniva il contagio? Si
sa che il vaccino non previene il contagio!”
Signor Y: “Certo, chi è l’idiota che lo ha mai detto? A parte ovviamente
i giornali, i telegiornali, i virologi, i ministri, il mio capoufficio e il
decreto di sospensione per i sanitari che si rifiutavano di iniettarsi quella cosa
che “previene i contagi negli ospedali”?
Però, se non mi fossi amputato
l’alluce sarei morto… invece ho solo la febbre altissima…
Signor Y: “Conosco persone rimaste invalide o addirittura morte dopo
la puntura, eppure dicevano che era era sicuro.”
Signor X: “Ma suvvia, si sa
che nessun farmaco è sicuro al 100%, nemmeno l’aspirina!”
Ehmmm… secondo l’indovino non è
proprio certo che alla Donna Obesa piaceranno queste offerte… e poi… a qualcuno,
dopo il taglio dell’alluce, è andato in cancrena il piede, e a qualcuno tutta la
gamba...
Non serve andare oltre, che dite? Soffermiamoci piuttosto su un punto
centrale, ossia quando il Signor X sostiene che la punturina serviva a non
prenderlo in forma grave, che nessuno aveva mai detto che preveniva il contagio
e che in fondo, nessun farmaco è mai del tutto sicuro. Qui sta il punto critico,
qui vediamo che l’investimento economico a livello si psiche/ego si è rivelato
fallimentare. Spieghiamoci meglio…
Oggi va tanto di
moda l’Intelligenza Artificiale. Come noto, l’obiettivo è creare una rete
neurale il più possibile simile a quella umana, e uno dei fondamentali
algoritmi utilizzati a questo scopo è la retropropagazione dell’errore:
“tecnica che consente la riduzione
dell’errore che compie la rete neurale nel processo di apprendimento. Se si
considera che la fase di apprendimento di una rete neurale si traduce in
sostanza nel ritrovare in una funzione complessa il valore minimo o
quanto meno uno dei minimi migliori, e se per farlo non si utilizza un approccio
analitico, bensì iterativo, allora si comprenderà che un metodo semplice per
risolvere il problema è quello di muoversi a piccoli passi sulla superficie
della funzione (Discesa del gradiente) e via via ricalcolare
i pesi della rete neurale partendo da quelli già noti e dall’ultimo errore
calcolato per ridurre lo stesso.”

Detto in soldoni, finché
l’IA, alle prese con un problema, ottiene come risposta un errore, continuerà a
tornare indietro e ad affrontare quel problema ricalibrando ogni volta i suoi
parametri di indagine nel tentativo di venirne a capo. Ora, la cosa buffa è che mentre il principio
della retropropagazione dell’errore risponde all’esigenza di emulare le capacità
della mente del Signor X, la mente del Signor X, nel momento in cui ha
abbracciato i dogmi di Stato e giurato fedeltà alla Parola Rivelata del Ministero
della Verità, non ha nessunissima intenzione di cercarvi eventuali errori, né
tantomeno, nel caso gli fossero fatti notare da altri, di affrontarli in
qualche modo. Al contrario, la sua unica, pressante preoccupazione è nascondere
quanto prima ogni errore emerso: in altre parole, nella mente del Signor X, l’errore
non viene retropropagato per essere ridotto, bensì retrodissimulato per essere dimenticato.
Anzi, per dirla con Freud: rimosso. Quello
che vogliamo sottolineare è un comportamento risaputo della mente umana, e cioè
che essa è così devota alla causa del nostro Ego Magnifico (l’identificazione
di noi stessi con la più meravigliosa, intelligente, saggia e amabile creatura
esistente nell’universo) da truffare se stessa, piuttosto che dargli un dispiacere:
compie cioè una falsificazione, riscrivendo orwellianamente il passato e rimuovendo
il ricordo della sua previsione/convinzione errata per fabbricare al suo posto uno
pseudo-ricordo secondo il quale ciò che si è poi verificato corrisponde puntualmente
a quanto aveva previsto.
Stiamo diventando
dei buoni membri del Covid Fight Club, perché adesso lo stupore suscitato in
noi dal confronto tra il Signor X che prima
dice: “Lo faccio perché serve a evitare
il contagio” e poi dice: “L’ho fatto
per non prenderlo in forma grave, e comunque si sapeva che non preveniva il
contagio” si sta parecchio
ridimensionando: è sufficiente tenere in debito conto quanto il Signor X ha
investito di sé aderendo alla Storia Sacra di Stato: soldi, carriera, vantaggi,
e reputazione di uomo istruito e colto. Capite bene, il Signor X non può
passare per fesso, né di fronte agli altri, né tanto meno di fronte a se stesso
quando ogni mattina si guarda allo specchio per radersi; ergo, vieta alla sua parte razionale e analitica di fare a pezzi la
Storia Sacra di Stato, perché ciò significherebbe fare a pezzi tutto il suo
investimento, materiale e interiore. Dunque, ogni volta che un errore minaccia
la serenità dell’Ego Magnifico, giù a martello con la retrodissimulazione
dell’errore… E poi, non sia mai di darla vinta a quegli zotici ignoranti delle
altre tribù secondo cui l’indovino di RAI 1 ha sbagliato!
Considerando ora quanto
questo meccanismo di difesa egoica è radicato e potente a livello individuale,
immaginiamo che effetti devastanti può avere quando è un gran numero di persone
ad attuarlo per difendere la Verità di Stato, e quindi il loro prezioso
investimento materiale ed egoico. Queste persone, nell’aggregarsi, troveranno
conforto e reciproca conferma di non essersi sbagliate, e accetteranno volentieri
il silenzioso postulato di identità secondo cui la convinzione condivisa
dalla maggioranza equivale alla verità (e questa non è che una diversa
definizione della “verità pratica”, ma vista dalla prospettiva meschina dei
polli in batteria). E perché questa
suggestione si imponga a tutti i livelli nella società, non è nemmeno
necessario che vi aderisca la maggioranza assoluta degli individui. Sarà
sufficiente una certa massa critica, a condizione che sia talmente
sovraesposta mediaticamente (e che corrispettivamente qualunque tesi opposta
non abbia pubblicità alcuna) perché tale massa sia percepita come maggioranza
assoluta e - di conseguenza – perché la convinzione di cui essa è portatrice
assuma valenza di verità.
Arrivati a questo punto, oltre a meritare di sapere come questo flusso
di coscienza arrivi a un certo punto alle bomboniere di zia Petunia e al carro
da guerra miceneo, ci siamo dotati degli strumenti per diventare non solo
bravi, ma persino autorevoli membri del Covid Fight Club: ci daremo infatti da soli delle risposte, ad esempio riguardo al
comportamento della ragazzona del treno.
L’effettiva inutilità e dannosità delle mascherine è un fatto non più
oscurabile al dominio pubblico, al di là dell’assenza di prese di posizione
ufficiali degli organismi politici e scientifici, e di ciò abbiamo se non un
consapevole riscontro, quanto meno un riflesso fattuale nella progressiva e
ormai massiccia rinuncia a farne uso da parte della collettività, con
l’eccezione di speciali contesti all’interno di ospedali, ambulatori ecc. e della quota fisiologica di
individui a vario grado ipocondriaci.

La ragazzona del treno era per caso ipocondriaca? Non direi proprio:
un ipocondriaco che vive nell’era Covid (o che dall’era Covid è stato creato)
rabbrividirebbe al solo pensiero di cibarsi in un luogo pubblico stipato di untori
come la carrozza di un treno, per di più in pieno periodo influenzale. D’altra
parte, molti di noi avranno visto gruppi di amici/colleghi seduti insieme a desinare
o fare l’aperitivo indossando la mascherina e abbassandola solo al momento di portarsi
cibo e bevande alla bocca. Queste persone avevano una autentica paura di
ammalarsi e morire? Certo che no: indossavano la mascherina non solo perché
temevano l’uno il giudizio dell’altro, ma anche e soprattutto perché temevano
il giudizio di se stessi, che è
condizione necessaria per giudicare gli altri (se rischio di dare dello scemo a
me stesso, allora sono autorizzato a darlo a te alla prima occasione…). L’esigenza
dei vari Signor X – non dei veri ipocondriaci – di perseverare nell’automatismo
della mascherina nulla ha a che fare con la paura della malattia e della morte,
ma è vagamente simile alla necessità di esibire l’argenteria di casa a un
ospite di riguardo e parecchio simile all’obbligo
di esporre le bomboniere quando viene a farci visita zia Petunia.
Sapete benissimo di cosa parlo. Tutti noi abbiamo avuto a che fare – o
quanto meno ne abbiamo sentito parlare – con i parenti che ci tengono: gli zii, i cugini, i cognati che festeggiano, invitano
e si aspettano di essere invitati a ogni matrimonio, battesimo, comunione,
cresima fino al quarto grado di parentela. Nella loro concezione dell’esistenza,
questi eventi devono essere celebrati con la solennità di un’incoronazione
imperiale e lo sfarzo di una festa di gala a Versailles al tempo del Re Sole.
Affinché poi venga serbato ricordo imperituro di tanto splendore (e dell’investimento
in esso profuso) vi è l’immancabile distribuzione di ciondoli, catenine,
braccialetti commemorativi e – in particolare – delle famigerate bomboniere. I parenti che ci tengono lo fanno perché è tradizione, una tradizione a cui
aderiscono con convinto fervore, inesauribile devozione: attenervisi, oltre a produrre
endorfine e un più metafisico appagamento, è parte integrante della loro
rispettabilità: sono persuasi infatti che gli altri parenti si aspettino da
parte loro tutto questo e che rimarrebbero mortalmente feriti se mai dovessero
venir meno a tale dovere o, peggio, se in occasione di uno di questi eventi non
fossero invitati. Può capitare così, nel
corso degli anni, di partecipare al matrimonio e alle Nozze d’Argento di zia
Petunia, al battesimo, alla comunione e alla cresima dei suoi quattro figli, ai
matrimoni di due dei quattro figli e ai battesimi dei nipoti di zia Petunia nati
da quei matrimoni. Il tutto tradotto in circa una ventina di bomboniere, più o
meno terrificanti, e a meno che in noi non alberghi una natura perversa (o
simile a quella di zia Petunia, il che è lo stesso), quelle bomboniere le
avremo avvolte in carta di giornale e chiuse in uno scatolone riposto in
solaio, oppure in cantina, o nel cassettone di un letto. E lì rimarranno, almeno finché non viene a
trovarci zia Petunia… Il fatto è che prima o poi, che lo vogliamo o no, zia
Petunia verrà a trovarci. Allora, ecco la febbrile ricerca dello scatolone
(dove accidenti lo abbiamo messo?), lo sgombero brutale di vetrine e ripiani
del soggiorno, l’apertura delle palle di giornale, la spolverata dei tristi soprammobili
e la loro collocazione nelle vetrine e nei ripiani del soggiorno… Perché zia
Petunia ci tiene e quando entra in
casa nostra, si aspetta di vedere le sue bomboniere.
Potremmo mai spezzare il cuore di zia Petunia, rivelandole il nostro
totale disinteresse per le sue orribili bomboniere?
Sostituiamo adesso le bomboniere con la mascherina…
E zia Petunia? Beh, finché zia Petunia sono gli amici, i parenti, il
capo ufficio, abbiamo visto che il problema è relativo: tireremo fuori dallo
scatolone le bomboniere (la mascherina) solo quando zia Petunia verrà a casa
nostra (solo quando gli amici, i parenti
e il capo ufficio ci guardano). Ok, forse non sarà una sola volta all’anno,
magari due o tre… ma ci stiamo ancora dentro.
Come la mettiamo però quando zia Petunia è il nostro Ego Magnifico? In
quel caso, non potremo più riporre le preziose, fragili e ingombranti
bomboniere di zia Petunia (le nostre
bomboniere) in uno scatolone, ma dovranno restare in soggiorno vita natural durante.
E come la mettiamo quando la verità pratica di Stato cui abbiamo
aderito comincia ad andare in pezzi sotto la pressione implacabile della realtà
fattuale (quando le bomboniere cominciano a spostarsi perfidamente in punti
pericolosi della nostra casa, e addirittura cadono a terra davanti ai nostri
occhi)? Se noi non vogliamo accettare
l’idea di avere avuto torto, se non possiamo permetterci di dire al nostro Ego
Magnifico che è un povero imbecille, che ha creduto scientemente a un mucchio
di cretinate, e che il suo eroico gesto lo
faccio per gli altri non è altro che
una balla autoedificante per negare di aver ceduto a un ricatto, allora
l’affare si rivela molto meno vantaggioso di quanto sembrasse all’inizio, anzi…
il quaderno della partita doppia piange e ora ci tocca sudare parecchio. Finché
sarà tollerabile, accetteremo di credere a giustificazioni, spiegazioni e
teorie ufficiali sempre più arzigogolate, così improbabili e contorte da far
scempio del rasoio di Occam (aggiusteremo la bomboniera con la colla a presa
rapida e amen per i frammenti irrecuperabili…). Quando la menzogna sarà palese
(e pure confessata dai media con una banale alzata di spalle, o peggio tra una
risata e un servizio di gossip), beh, allora premeremo il pulsante rosso, ci
convinceremo che non è mai stata detta o che noi almeno non vi abbiamo mai creduto
davvero (butteremo la bomboniera e ce ne dimenticheremo): al mio via, scatenate la retrodissimulazione
dell’errore!
Adesso, suppongo, è molto più facile comprendere cosa è accaduto dentro
la ragazzona del treno: ha dato la precedenza al bisogno fisico di mangiare,
ossia ha soddisfatto – per usare le
parole di Epicuro - il piacere necessario e naturale della focaccia, dopo di
che ha risposto al citofono (al bisogno psicologico, egoico) e, udita la voce
di zia Petunia (il suo Ego Magnifico), si
è affrettata a tirar fuori le bomboniere (la mascherina).
Quanto finora esposto a proposito delle bomboniere ci spinge
inesorabilmente a fare ulteriori considerazioni sui soprammobili, sia in senso
proprio che, ancora, in senso metaforico. Intanto, i soprammobili possiedono
alcune caratteristiche comuni: ingombrano, non servono (quasi) a niente e
stanno dove stanno per qualche motivo, di solito in virtù del loro valore sentimentale, ma potremmo dire anche psicologico (apparteneva a nonno Flavio
e prima di lui – si racconta - a Garibaldi…).

Naturalmente ci sono casi ‘ibridi’: molti soprammobili hanno anche
una pur ridotta funzionalità, per lo più sacrificata all’estetica: penso a una
biro innestata dentro un’enorme piuma di pavone, difficile da usare sia per lo
sbilanciamento dell’aggeggio sia perché la sfera, ovviamente, gira malissimo;
ma penso soprattutto a un oggetto nel soggiorno della casa dei miei nonni: un grosso
uovo di pietra metamorfica levigata che poggiava
su un tavolino fatto della stessa pietra metamorfica verdastra. Sulla cima di
questo uovo era innestato un piccolo accendino, ma il peso e la poca
maneggevolezza dell’oggetto ne sconsigliavano qualunque utilizzo diverso
dall’accendersi – non senza qualche difficoltà - una sigaretta; e se mai un
tempo quell’accendino funzionò, quando io ebbi modo di azionarlo, era fuori uso.
Eppure l’uovo si trovava lì. Per quale ragione? Banalmente, perché faceva pendant col tavolino? O magari perché il
tavolino e l’uovo erano un regalo di Y, oppure venivano dall’Africa ed erano
una specie di cimelio di famiglia? Forse qualcosa del genere, non ricordo…
Quante cose stanno lì e ci si dimentica il perché…
E quanto detto ci guida finalmente, con il filo d’Arianna un po’
tortuoso delle libere associazioni, a parlare del carro da guerra miceneo.
Nell’antichità, i carri da guerra erano parecchio in voga: Sumeri, Assiri, Ittiti,
Egiziani, più tardi i Celti. Anche i Greci li adoperarono, ma quelli dell’Età
del Bronzo, quelli che abbiamo imparato a conoscere a scuola con il termine Micenei e che Omero invece chiama Achei o Danai. È importante rammentare che se pure è stata composta intorno
all’VIII secolo a.C., l’Iliade attinge a una tradizione di canti più antica, dato
che la vicenda della guerra di Troia si colloca appunto nella tarda Età del
Bronzo, ossia l’ultimo quarto del II millennio a.C. Ora, nei secoli intercorsi tra quella guerra e la composizione dell’Iliade, si è verificata una cesura nota
come medioevo ellenico, cesura di
tale entità (crolli di regni, migrazioni, mutamenti socio-politici, culturali, religiosi,
tecnici e linguistici) che il nostro Omero non sempre aveva le idee chiare su
come funzionassero davvero le cose al tempo degli eroi che cantava; peraltro, rifacendosi
a un patrimonio consacrato di versi
formulari e di episodi molto dettagliati, non poteva esimersi dal parlare di aspetti
particolari che il suo uditorio si aspettava
- pretendeva magari – di ascoltare, un po’ come quando al cinema,
durante una scena di inseguimento in un suk, ci aspettiamo che qualcuno rovesci
il carretto della frutta, ma soprattutto come zia Petunia che si aspetta di
trovare esposte le sue bomboniere quando viene a trovarci…
Il carro da guerra miceneo era qualcosa del genere, e infatti nell’Iliade
vi si fa riferimento con una certa frequenza, a come è costruito,
persino al suo impiego in combattimento,
senonché, quando Omero viene al sodo, cioè alle battaglie nella piana di Troia,
questi carri non sono mai impiegati. Ci accorgiamo che i capi achei li usano solo per arrivare o allontanarsi dal campo di
battaglia, come i giocatori di golf usano le caddy elettriche per
spostarsi da una buca all’altra. È evidente, quindi, che al tempo del nostro poeta, nessuno sapeva
più chiaramente come venisse impiegato il carro da guerra nell’Età del Bronzo; ma
se ora, nell’Età del Ferro, esso ha perduto la sua utilità militare, è in
compenso assurto a venerando cimelio, la cui grande valenza iconica lo ha reso un must dell’epica guerresca (quante cose stanno lì e ci si dimentica il
perché…).

Vi chiederete, all’ennesima svolta di questo labirinto di associazioni,
se ne stiamo uscendo: cosa c’entra, per la miseria, tutto questo con la
ragazzona del treno, il Signor X e il Covid?
C’entra eccome. E sapete una cosa? Via via che questo fluire di
pensieri, questo intrecciarsi di connessioni e idee scende in profondità (un po' come la retroprogazione dell'errore, che scende sempre più in profondità nella funzione per ridurlo...), mi
rendo maggiormente conto di quanto tutto sia grottesco, tragicomico, e rappresenti
una specie di Storia naturale della
stupidità umana. E se all’alba della nuova Intelligenza Artificiale
volessimo portare in piena luce la nostra Stupidità Naturale e capire davvero
il comportamento della ragazzona del treno e dei vari Signor X in cui ci
imbattiamo ogni giorno, basterebbe pensare alla mitologia di Stato riguardo al
Covid come all’Iliade, e allora ci renderemmo conto che il “tampone per il Covid”
non è altro che il carro da guerra miceneo. Siamo arrivati alla fine
dell’autunno del 2023, e molti di noi hanno assistito all’autentica
pantomima di amici, conoscenti, parenti, colleghi che dicevano di essersi
ammalati, di avere la febbre, il mal di gola e la tosse, di avere fatto il
tampone e che “fortunatamente/sfortunatamente non si trattava/si trattava di
Covid”.
Sebbene l'attendibilità del tampone per il Covid sia stata a buon diritto oggetto di
dibattiti, per capire a cosa esso è servito prima e a quale pantonima ci abbia infine spinto sul finire del 2023, deve innanzitutto essere chiaro che l'attendibilità
non ha alcuna rilevanza. Quel che conta davvero, invece, è il tempo e il fatto che questo “tampone”
un esito lo dà, reale o falso che
sia. Seguitemi ancora un poco… Quando il
Moloch di Stato ha sospeso i diritti civili e imposto de facto l’obbligo vaccinale (chiamiamola Fase 1), il tampone per il Covid è stato massicciamente utilizzato
in quanto costituiva una reale e decisiva discriminante (l’esito, vero o falso che sia) per la vita materiale della
stragrande maggioranza della popolazione. Ciò, ovviamente, a titolo diverso
per gli ipocondriaci, i devoti alla Storia Sacra di Stato e le streghe. Gli ipocondriaci ne temevano il
verdetto (la salute prima di tutto, la mia
salute, prima di qualunque cosa e persona, prima dei princìpi, prima
dell’etica, e prima di quell’untore del mio vicino di casa che non indossa la
mascherina…). I devoti, diversamente, prendevano atto del verdetto del tampone con
deferente lealtà e con quell’entusiasmo amministrativo ben descritto da
Dostoevskj in un passo dei Demoni: pronti,
se negativi, a trarre un sospiro di sollievo e felici di poter continuare a
esibire come prima la tessera di purezza virale ariana al ristorante; altrettanto
pronti, se positivi, a compiere quanto richiesto al cittadino responsabile:
isolarsi, comunicare sui social la propria condizione medica (non dimenticando
di sottolineare la fortuna benedetta di aver evitato la rianimazione o peggio
la morte grazie al vaccino), ricostruire
e segnalare all’autorità sanitaria la potenziale rete di appestati prodottasi,
seguire il bollettino giornaliero dei contagiati, morti e dispersi, informarsi sulla
percentuale di occupazione delle terapie intensive e assicurarsi tramite
ricezione radio che “la guerra contro il nemico invisibile e le streghe continua
a fianco dell’alleato germanico”. E le streghe? Beh, molte streghe , finché hanno potuto, si sono servite dell’esito negativo del tampone (vero o falso che fosse)
per continuare a lavorare; dopo di che, chiusasi la trappola dell’obbligo
vaccinale per determinate categorie, molte streghe hanno dovuto sperare nell’esito positivo del tampone (vero o falso che
fosse) per tornare, a guarigione di Stato avvenuta, nella società civile e
riprendere a lavorare e non morire di fame.
Finita l’onda di terrore, di minacce ed estorsioni, si entra in una
nuova fase (chiamiamola Fase Intermedia)
in cui scadono i termini dell’obbligo vaccinale e l’emergenza Covid va via via ridimensionandosi,
pur sempre col beneplacito della verità
pratica di Stato, in quanto quell’emergenza, rispetto alla sua utilità di
strumento coercitivo e di controllo sociale, mostrava segni di stanchezza e pertanto
doveva lasciare spazio ad altre emergenze (clima e guerra). Le cose ad ogni
buon conto cambiano, l’isolamento per positività Covid da obbligatorio diventa
solo raccomandato, va poi a decadere
l’obbligo di mascherine sui mezzi
pubblici. Certo, girano le varianti, a cui si danno nomi inquietanti nella
speranza di un nomen omen o verba
sunt consequentia rerum… ma niente: non sfondano. I fedeli della Storia
Sacra di Stato ci sono sempre, ma non mostrano più la stessa energia di prima e
nascondono le zanne dietro un sorriso: il loro consenso passa da aggressivo ad aggressivo passivo, e infine scende al minimo di giri, cioè passivo: li vedete, sono taciturni,
mugugnano persino… Molti stanno pure male, peggio di prima, alcuni sono persino
morti… Ma in fondo, finché succede agli altri, ancora gli conviene.
Si entra così in una nuova fase (chiamiamola Fase 2): essa registra il ritorno dal suo anno sabbatico dell’influenza,
a cui il Covid aveva rubato la scena e la responsabilità di cataste di cadaveri
(pensiamo ai morti attribuiti all’influenza nel 2016…). Beninteso, l’influenza torna
solo perché lo ha voluto la verità pratica di Stato. Anzi, la verità di Stato,
constatando che il Covid non se la passa affatto bene, ha pensato bene di
affiancargli l’influenza come alleata e così imbastisce una campagna vaccinale
doppia: Covid + influenza (potremmo chiamarla "la campagna vaccinale Maxi Bon": du gust is megl che uan).
Nel frattempo è apparso, a confondere le idee e a quietare i
turbamenti dei devoti meno convinti, anche il
tampone Maxi Bon, quello Covid/Influenza … Ma lasciamolo stare: ci farebbe
smarrire la ragione in modo irrecuperabile.

Occupiamoci del tampone per il
Covid tout court: nella Fase 2 non ci
sono più le restrizioni, le norme di isolamento e gli obblighi vaccinali. In questo
scenario, il tampone per il Covid cessa
di essere discriminante (l’esito,
vero o falso che sia) per la vita materiale della popolazione, come lo era
invece nella Fase 1. Stando così le cose, chi mai si farà i tamponi nella
Fase 2? Non certo le streghe, e nemmeno i seguaci passivi e mugugnanti della
verità pratica di Stato, tra i quali è giusto annoverare la squallida genìa dei
“dritti”, quelli che in Fase 1 e in Fase intermedia pretendevano che i colleghi
facessero il tampone al primo starnuto, o anche solo perché erano stati a
stretto contatto con un positivo, ma che con gli stessi presupposti a loro
carico si rifiutavano a loro volta di farselo perché, se malauguratamente fosse
risultato positivo, gli sarebbe andata a mignotte la settimana bianca… Il
tampone lo fanno piuttosto gli ipocondriaci: se l’esito è negativo, sospirano
di sollievo e possono continuare a temere la Morte Nera con più allegria domani
(domani è un altro giorno, diceva
Rossella O’Hara…); se è positivo, lo
comunicano prontamente su Facebook, in attesa di post di solidarietà e rassegnati
a sperimentare – anche se non con la stessa tensione mistica della Fase 1 – il
brivido di un eventuale ricovero, confortati però dalle visite di amici e
parenti dietro il vetro della terapia intensiva. Il tampone lo fanno poi i
devoti della Storia Sacra, gli entusiasti amministrativi, gli investitori della
verità pratica di Stato, i quali peraltro cominciano a nutrire dubbi
sull’arrivo dei dividendi sperati, ma ancora non vogliono arrendersi, e si
convincono che ribadire la fedeltà alla verità di Stato porterà loro dei
benefici, prima o poi. Ma se attualmente soldi, lavoro e libertà di spostamento
non sono in pericolo, cosa mai li spinge a tamponarsi? La risposta è ovvia: il bisogno di difendere il proprio Ego
Magnifico (Hanno suonato al campanello... Cielo, è zia Petunia!). Se i devoti non facessero i
tamponi, ammetterebbero di non credere nella Scienza, di essere stati truffati
dalle Istituzioni e darebbero ragione ai barbari incolti e negazionisti che
infestano Telegram… Dunque, che tampone sia: in caso di negatività, i devoti
trarranno un sospiro di sollievo e comunicheranno di persona e via social la
loro felice condizione a parenti, amici e colleghi; in caso di positività,
invece, trarranno un sospiro di sollievo e comunicheranno di persona e via
social la loro felice condizione a parenti, amici e colleghi perché “per
fortuna si sono vaccinati”.
Tutto ora dovrebbe essere chiaro: durante la Fase 1 (l’Età del Bronzo)
il tampone per il Covid (il carro da guerra miceneo) era usato efficacemente per
poter lavorare, per far scattare il periodo di isolamento e poi tornare a
lavorare, per ottenere la carta verde nazista di guarigione (per spostarsi e
combattere in battaglia). Si passa poi, attraverso le trasformazioni di una
Fase intermedia (il Medioevo ellenico) alla Fase II (l’Età del Ferro di Omero) in
cui il tampone miceneo per il Covid è ormai inutile, e nessuno o quasi lo utilizza, e se qualcuno lo
utilizza, lo fa con finalità personali, soggettive, psicologiche svincolate da qualsiasi necessità o obbligo legale e amministrativo. Il tampone per il
Covid, sul finire del 2023, è un mero cimelio storico. Lo sanno bene tanto le streghe
quanto i “dritti”: le streghe e i “dritti”, pur così diversi e lontani
eticamente, sono però entrambi come i Greci dell’Età del Ferro: non hanno
nessuna intenzione di usare i carri da guerra, e quando, sul finire del 2023, sentono
parlare di tampone per il Covid, per loro è come sentire Omero narrare dei
carri da guerra durante l’assedio di Troia. Gli ipocondriaci, no: loro vivono l’Età
del Ferro come se fosse quella del Bronzo: ritengono che il carro da guerra non
sia affatto superato (che non sarà mai
superato) e che lo si debba usare ancora in battaglia. Quanto ai devoti della sempre
più sgangherata Storia Sacra di Stato, dalla cui veridicità dipende la magnificenza
del loro povero, bistrattato Ego, costoro sono ascoltatori di Omero che, rapiti
dalle imprese di Agamennone, Ettore e Diomede, sono colti dal sonno, e in un sorta
di dormiveglia, sognano a tratti di vivere essi stessi quelle vicende, e non hanno ben chiaro se e quanto gli convenga continuare così, se non che ogni tanto gli arriva una
gomitata dal tizio seduto accanto a loro, che li fa sobbalzare richiamandoli a forza alla
realtà.
Fuor di metafora, la pantomima del Covid 2023 consiste nel non voler prendere
atto fino in fondo che se una persona ha il raffreddore o febbre, indipendentemente
dal fatto che si voglia chiamarla “influenza”, “Covid” o “Morbillo Arcobaleno”,
si comporterà nello stesso identico modo: stando a casa a curarsi finché non sia
guarita, come sempre si è fatto in passato, e senza altre implicazioni (magari
rimpiante dagli ipocondriaci e dai devoti) di carattere amministrativo o
legislativo (leggi Fase 1). Di
conseguenza, ricorrere al tampone oggi, sul finire del 2023, è da ipocondriaci
nel migliore dei casi, e una forma di devozione schiavile alla verità pratica
di Stato nel peggiore.
Giunti alla fine del viaggio, io personalmente credo di capire meglio la ragazzona del
treno che mangia flemmatica la focaccia e poi si maschera, e anche il Signor X
che si ostina a credere alla Storia Sacra di Stato e a farsi la barba
fischiettando ogni mattina, in barba al rasoio di Occam. Quanto a voi che avete
avuto la pazienza di leggermi fin qui, spero di avervi offerto una
chiave di lettura plausibile per le assurdità a cui assistiamo ancora in questi
tempi bui. D’altra parte è ora di smetterla di stupirci, è tempo di iniziare a
darci delle risposte e, nel caso, di picchiare come fabbri.
Sono le regole del Covid Fight Club…
Le 2,4: “... Offrirai focacce azzime di fior di farina intrise con olio...”.
Il. IV, 293-309;
XI, 718; 742-748.