giovedì 2 ottobre 2025

CONSIDERAZIONI RIGUARDANTI IL MOVIMENTO PRO-PALESTINA E L’ATTENZIONE MEDIATICA SULLA “FLOTTILLA”

 

CONSIDERAZIONI RIGUARDANTI IL MOVIMENTO PRO-PALESTINA  E L’ATTENZIONE MEDIATICA SULLA “FLOTTILLA”

Persone di cui ho grandissima considerazione, sicuramente assai più preparate e informate sui fatti di me (lo fanno per professione, in certi casi) hanno espresso giudizi positivi, di apprezzamento, sul fenomeno della mobilitazione pro-Palestina, naturalmente sottolineandone limiti, rischi, caveat, portando argomenti condivisibili e usando toni che, lo ammetto, mi hanno anche mosso una certa emozione.

Da un lato, il loro principale motivo di soddisfazione è che il Sistema (Occidente-EU-NATO-lobbies globaliste internazionali a trazione sionista) non è riuscito a nascondere l’elefante nella stanza della questione palestinese.

Dall’altro, il principale caveat è il sospetto: il Sistema, non potendo reggere il possente urto, non può fare altro che cavalcarlo, come un surfista cavalca un’anomala onda oceanica: così, liberi tutti, ora se ne può parlare…

Io credo che la prospettiva sia assai peggiore, io credo che il Sistema sia attrezzato (come ci insegna l’agente Smith di Matrix) non solo a passare la nottata, a limitare i danni, ma ad assorbire ogni anomalia, ogni bug al programma, a reintegrarlo e ad appropriarsene per controllarlo.

Creare sfogatoi a vicolo cieco, alimentare battaglie su temi risibili, non-sostanziali (lotta al body shaming, questioni di genere, il colore dei grembiuli a scuola…) per distrarre e deviare la rabbia da questioni decisive che invece la meriterebbero (società del controllo, imposizioni digitali, obblighi vaccinali, aggressione della proprietà e delle libertà) è routine, per la macchina del consenso del Potere. La faccenda palestinese no, non è routine, è più impegnativa, una vera gatta da pelare, ma è un problema per il quale le soluzioni sono comunque già disponibili e ben rodate.

Perdonatemi se non riesco a vedere il bicchiere mezzo pieno, se… non mi accontento. Sul concetto di “accontentarsi” ritornerò in chiusura, ma fin da ora dico che questo è il nodo cruciale: il Sistema, sapendo che la faccenda palestinese non è più eclissabile, dovrà al contrario pubblicizzarla, addirittura – io prevedo – la sovraesporrà, soprattutto in vista di una soluzione (decisa dal Sistema) che verrà presentata come magnifica, così da averne un ritorno addirittura positivo (a incominciare dalle briciole di un qualche punticino in più alle prossime elezioni).

Cominciamo dai personaggi pubblici (con poche lodevoli eccezioni), che per continuare la loro carriera, rispetto a qualsiasi tema decisivo (green pass,  obbligo vaccinale, distruzione del welfare, guerra in Ucraina, tensione mondiale, questione palestinese appunto) hanno due opzioni: o aderire entusiasticamente al passaparola del Potere, o  essere sordi muti e ciechi come le tre Scimmiette.

Ora… liberi tutti di denunciare, sbandierare, piangere… Cosa avevano prima? Afasia? Un blocco emotivo? Un disorientamento sensoriale come gli speleologi o i sommozzatori?

Io scoprii della Flottilla attraverso un video dello storico Alessandro Barbero (di cui apprezzo il lavoro e ammiro la cultura), che ne pubblicizzava il raduno (a Lisbona, mi pare). Barbero, ricordate? Lui si era espresso – in via teorica – per l’obbligo vaccinale, se non che in un’occasione si era lasciato scappare una critica ai modi un pochino dittatoriali e lesivi dell’autodeterminazione individuale con cui il Governo italiano stava gestendo la questione Covid. Subito mal gliene incolse: attaccato dai giornali, lui che ha rinunciato di fatto all’attività di insegnamento universitario per la carriera di divulgatore, conferenziere e scrittore pop, capìta la malparata che ne sarebbe conseguita, è rientrato subito nei ranghi (e, quanto meno non consentendo di  fare da altoparlante del potere, ha ripiegato sulle tre Scimmiette). E dunque… quel Barbero pubblicizza l’impresa della Flottilla su Youtube, una delle Fortezze di censura del Sistema?

Ciò significa una sola cosa: Yutube vult! E cioè lo vogliono coloro che potrebbero chiudere – o compromettere gravemente - la carriera televisiva e pubblicistica di Barbero.  

Ho citato Barbero per tutti: attori, cantanti, cabarettisti, giornalisti, gente di spettacolo…

Quindi, gente ricattabile/ricattata con la pistola alla tempia ieri è all’improvviso libera di parlare oggi…

Una mente lucida, addestrata al “pessimismo della ragione” dovrebbe essere più felice o più preoccupata?

Tra le due opzioni, io scelgo di ridacchiare amaramente.

Nel 20° congresso del Partito Comunista sovietico, gli oligarchi del Partito guidati da Krushev, che fino a poco prima satellitavano nel sistema di Stalin, la cui melma fuoriusciva dai tombini, si affrettarono a prenderne le distanze, a far fucilare Beria e far pervenire all’Occidente, in primis gli Stati Uniti, una versione ad hoc del Rapporto Segreto sui crimini e le colpe di Stalin… Il mondo doveva sapere sotto che mostro erano stati tenuti!

Ora, liberi tutti di denunciare, sbandierare, piangere… Cosa avevano prima? Afasia? Un blocco emotivo? Un disorientamento sensoriale come gli speleologi o i sommozzatori?

Striscia di Gaza: corridoi angusti chiusi da muri con filo spinato da cui i tiratori israeliani vigilano: il MURO. Le ultime generazioni, e pure quella mia, sono state educate a ogni livello (dal più intellettuale al più pop) a vedere nella metafora del Muro (spesso usata a sproposito mettendo sullo stesso piano Berlino, la Muraglia Cinese, il Vallo di Adriano, la barriera messicana, le zone doganali) la rappresentazione di ciò che è anacronistico, ottuso, discriminatorio, disumano…

Giustamente, i commentatori a cui ho alluso all’inizio hanno notato il cortocircuito del Sistema: non puoi infarcirmi per decenni con l’immaginario del Muro simbolo dell’ingiustizia e poi farmi digerire la Striscia di Gaza…

Quindi? Quindi, la Striscia di Gaza, con i suoi muri materiali dovrà sparire: perché è anacronistica, perché è un bug nel sistema, perché a differenza di assurdità come farsi un tampone per il Covid nel 2025, è un boccone troppo grosso anche per il bi-pensiero dei più strenui e mentalmente ipodotati burattini del Potere.

Attenzione: dovrà sparire il muro-prigione architettonico, non dovrà sparire l’effetto di segregazione e controllo prima ottenuto con il muro… Ma per quello ci sono altri mezzi…

Il boia Bibi Netanyahu parla all’ONU e le delegazioni lasciano l’aula. Bellissimo, certo… Molte Nazioni condannano da tempi non sospetti le violazioni di Israele e chiedono il riconoscimento dello Stato palestinese. Io credo che questo Stato di Palestina si farà, il problema è che Stato sarà. Alle condizioni di chi e sotto la tutela di chi: di Tony Blair?

Israele ha già schedati digitalmente tutti gli occupanti della Striscia, il Mossad ha infiltrati ovunque, ha ucciso militari iraniani tramite cellulari esplosivi… Ha forse bisogno di muri e filo spinato che ormai gli procurano il biasimo di mezzo pianeta quando può essere creato uno Stato di Palestina vassallo-fantoccio, della cui popolazione ha totale schedatura, controllo e virtuale potere di vita e di morte grazie alla sua tecnologia avanzata?

È questo che non mi fa gioire: l’idea che arrivi un’apparente vittoria, dietro cui si cela un orrore chiuso in una scatola bella e infiocchettata, una Palestina un po’ così di cui dovremo accontentarci. Perché dovremo accontentarci e smetterla di rompere i coglioni… (vedi idranti di Trieste…).E il popolo dell’Occidente si accontenterà, la smetterà di rompere i coglioni, e se anche  i palestinesi vivranno in un nuovo inferno, almeno sarà un inferno riconosciuto a livello planetario e noi, che con le nostre bandierine e le nostre lacrime in diretta vi avremo contribuito, potremo andare a dormire con la coscienza pulita… Ancora una volta.

sabato 16 dicembre 2023

Covid Fight Club 2023

 Dove si parla tra l’altro di focacce, di Intelligenza Artificiale e Stupidità Naturale, delle bomboniere di zia Petunia e del carro da guerra miceneo

 

Dicembre 2023: esco dal lavoro che è già buio. Arrivato alla stazione di Cadorna salgo finalmente sul treno che mi riporterà a casa (e soprattutto lontano dalla volgare chiassosità di Milano, dal rutilante squallore multimediale di cui questo conglomerato canceroso di edifici e persone sembra bearsi con ebete compiacimento). Mi siedo in una carrozza piuttosto tranquilla e, dopo aver controllato giusto un paio di cose sul telefono, riprendo la lettura del mio attuale libro da viaggio (la Bibbia - una pregevole edizione paolina degli anni ’60, che alterno con ineffabile - ma solo apparente - stridore a Shining di Stephen King).

Prima che il treno chiuda per l’ultima volta le porte e lasci la stazione, arrivano altri viaggiatori, sicché la carrozza, se non proprio gremita, è adesso piuttosto affollata; in uno dei due sedili ancora liberi sul lato opposto al mio si siede da ultima una ragazzona. È ben vestita, ben curata; le sue movenze, i tratti del viso e  lo sguardo sembrano anche suggerire una certa personalità. La ragazzona estrae dallo zaino un sacchetto di carta contenente una focaccia di ragguardevoli dimensioni e comincia a mangiarla, con flemma, decisione e metodo. Il pasto dura alcuni minuti, perché, come detto, non è vorace, ma calmo e metodico (la fretta toglie dignità, dicevano gli antichi…). Con un ulteriore gesto di creanza, la ragazzona risparmia l’ultimo lembo di focaccia, arrotola il sacchetto e lo ripone nello zaino. Dopo di che, estrae dal giaccone una mascherina nera e se la incolla sulla faccia (la terrà per il resto del viaggio, fissando il vuoto).


La scena mi colpisce profondamente, complice la sua sincronicità: infatti ha interrotto la mia lettura del Levitico, quando ero arrivato a un passo ove si parla dell’offerta di focacce[1]. Senza scampo, la mia mente è stata proiettata in un vortice di considerazioni su questi tempi sciocchi e malvagi, e cercherò qui di riproporvi questo viaggio tramite una sequenza il più possibile sensata di idee, pur mantenendo, di fondo, il flusso di coscienza che le ha generate.
Prima regola del Covid Fight Club: smetterla di meravigliarsi.
Seconda regola del Covid Fight Club: smetterla di domandarsi perché le persone si comportano in modo assurdo e cominciare a darsi da soli delle risposte.
La terza regola del Covid Fight Club è: nel dubbio, picchiare come fabbri, ma per ora mettiamola da parte e cominciamo dalla prima, smettendola una buona volta di meravigliarci, perché la nostra meraviglia ci rende colpevoli e la nostra colpa consiste nel dar credito a un assioma tanto rassicurante quanto infondato: l’uomo è un essere razionale.
Ora, se io compro un badile dal ferramenta, non divento per questo un essere "badilare"; diciamo, piuttosto, che sono “badilare” fintanto che e nella misura in cui uso il badile.
Con la razionalità è esattamente lo stesso: se qualcuno osa affermare che la razionalità è consustanziale a noi esseri umani, ossia così profondamente innestata nella nostra natura che, secondo inflessibile necessità, noi non possiamo che agire sempre e immancabilmente in modo razionale, allo stesso modo in cui secondo inflessibile necessità respiriamo l’aria e abbiamo bisogno di bere e mangiare, si faccia avanti ora o taccia per sempre. E a chi nutre ancora dubbi residuali, suggerisco di riflettere sull’esistenza delle Slottery, delle lozioni per la ricrescita dei capelli o su cosa sono i parcheggi dei centri commerciali sotto Natale.
Bene… Possiamo pacificamente affermare che la razionalità è come un badile: ci rende razionali solo finché e solo nella misura in cui noi la usiamo.
Qualcuno osserverà: ma si sa… l’uomo è preda di istinti, i casi della vita ci mettono spesso a dura prova e le emozioni e le passioni obnubilano la nostra razionalità…
Sì, sì, grazie. Ci eravamo già arrivati da soli. Gioverà a questo punto chiarire che non ci stiamo riferendo a situazioni estreme, tipo decidere in una frazione di secondo se girare a sinistra o a destra per sfuggire a un maniaco armato di machete (o di badile) o a quando i nostri antenati avvertivano un pizzicore alla nuca perché alle loro spalle c’era una tigre dai denti a sciabola pronta a balzargli addosso.  Quella è roba per il cervelletto rettile. Parliamo di un altro modo di prendere decisioni, non necessariamente più ‘evoluto’, senz’altro però più lento, più flemmatico e calcolato, come la masticazione di quella focaccia sul treno.  Dobbiamo immedesimarci (anzi, noi lo siamo tuttora) in un uomo delle caverne sfuggito alla tigre dai denti a sciabola che ora se ne sta al sicuro nella sua grotta, seduto accanto al fuoco, e ha tempo e modo, grattandosi la testa, di aprire il quaderno della partita doppia racchiuso nel suo cervello per decidere se una certa proposta gli conviene.
Rendiamoci conto che l’esercizio della nostra razionalità (per lo meno la porzione di razionalità assegnataci dagli dèi) è una scelta di pura convenienza economica, compiuta cioè valutando il proprio tornaconto personale, il profitto che ne riceveremo, o meglio che prevediamo di ricevere. Per inciso, una scelta non molto diversa dall’aderire a una fede religiosa al solo fine di assicurarsi un salvacondotto per la salvezza eterna (la logica del non si sa mai…).
Ci stiamo arrivando al Covid, non temete. Anzi, già rasentiamo l’arcano della ragazzona che prima mangia flemmatica la focaccia offrendo le sue fauci e la focaccia stessa a fantastilioni di germi e poi con noncuranza si mette la mascherina… Ma prima bisogna aggiungere un elemento, ponendo la questione di che cos’è la verità. Per carità, non la Verità con la maiuscola, in senso assoluto: quello è il Santo Graal della filosofia e lo lasciamo ad altri. Ai fini delle nostre riflessioni, ci interessa la natura di un altro tipo di verità, che potremmo chiamare la verità pratica: essa non è che il sistema di credenze fondativo del patto sociale, il quale permette a una comunità di svolgere in armonia e concordia le praxeis: lavorare, amministrare, governare, organizzare, educare, divertirsi.
Qualsiasi organizzazione politica (cioè: modo di organizzare una polis) ha bisogno di far convergere le singolarità individuali e coagularle all’interno di un sistema, condiviso al più alto grado possibile, di ideologia, valori, princìpi, miti, storia sacra, eroi, immaginari… Ciò richiede a sua volta una possente macchina generatrice di propaganda, mistificazione, persuasione, coercizione, distorsione, promozione di modelli e di mode; una fucina perpetua di minacce e leve di vario genere, di soluzioni uniche e totalizzanti ai pericoli e ai problemi volta per volta proposti, di promesse di salvezza e sicurezza, di intrattenimento e repressione, di identificazione e stigmatizzazione di nemici comuni esterni e interni (che ovviamente cospirano ogni momento tra loro contro la comunità della gente per bene). Questa costruzione ideologica deve anche escogitare, per reggersi, le opportune valvole di sfogo per ogni forma di violenza, libido e sadismo, così da canalizzarle e controllarle. Poiché questa gigantesca macchina mescola in modo inestricabile tutti i componenti elencati, i più non sono in grado di decodificarne chiaramente la complessiva natura mistificante e falsificatoria, pur trovandosela spiattellata ogni giorno sotto il naso, proprio come la lettera rubata di Poe. Un esempio per tutti di questa formidabile commistione è il fenomeno, noto in ogni luogo ed epoca, e di cui l’Italia della piena epoca Covid ha rappresentato fulgido esempio, della caccia alle streghe: la persecuzione e repressione di presunti nemici interni come risposta a un bisogno condiviso di sicurezza, bisogno generato tramite induzione di una isterica paura collettiva, bisogno che si traduce in consenso (tacito o dichiarato) del corpo civile a qualunque iniziativa da parte delle autorità purché ponga fine al pericolo (la salvezza a ogni costo!). In questa situazione la paura, la rabbia e l’odio della collettività verso le streghe costituiscono solo una faccia della medaglia: l’altra faccia si manifesta quando la persecuzione e la soppressione delle streghe da parte dell’autorità viene pubblicizzata e spettacolarizzata, diventando occasione di intrattenimento e valvola di sfogo per il sadismo della collettività. Prima la paura, poi il piacere… Fino al prossimo giro. 
 Il patto sociale, il funzionamento stesso dell’organismo politico si basano dunque su una verità concordata, ossia su una Storia Sacra: vale a dire, capovolgendo i termini, su un sistema condiviso di menzogne a fin di bene, di miti edificanti, di assiomi e tabù, il tutto funzionale alle esigenze delle élites attualmente dominanti. Questo baraccone, sia chiaro, sta in piedi perché la collettività nel suo complesso accetta l’accordo: accetta in primo grado di credere alla Storia Sacra, e in seconda battuta accetta quanto meno di non contestarla. Io ti lascio fare, tu mi lasci in pace, si porta avanti la commedia, ci diciamo Buona sera! Ma quanto siamo buoni e bravi! e ci viviamo la nostra vita. Naturalmente, aderire in toto a questo sistema di credenze ha un costo e delle conseguenze: l’adesione assoluta di un individuo a un tale agglomerato mistificatorio è impossibile se questi tiene accesi ad alto volume la propria razionalità e senso critico. Chi invece rifiuta di concedere la propria fede (e fedeltà) alla verità pratica di Stato deve mettersi nell’ottica di vivere in antagonismo permanente con un sistema che è costituzionalmente ipocrita e falso e di conseguenza di avere una vita sociale scarsa se non nulla, pochissimi amici, nessuna prospettiva di carriera.
Adesso dovrebbe essere chiaro il nesso con quanto detto a proposito della razionalità e del fatto che una persona sceglie di non esercitarla in base a un calcolo economico. Ho voglia o meno di vivere in antagonismo permanente col sistema? Mi conviene?
Attenzione però che se di base il principio decisionale è lo stesso per tutti gli individui, esiste una bella differenza tra chi detiene un potere politico-economico e chi invece è solo un ingranaggio della società (la ‘gente comune’). Chi detiene un potere politico-economico rinuncia a esercitare la razionalità - e soprattutto induce gli altri a rinunciarvi – in vista di un guadagno, dei vantaggi insiti nella sua posizione. Le persone che non contano nulla rinunciano a esercitare la loro razionalità in primo luogo per non subire danni, per non avere rotture di scatole, per evitare di essere vittima di ostracismi, ritorsioni, reprimende, stigma sociale. Una povera vittima quindi? Niente affatto, anzi…  In questa scelta dell’ ‘uomo qualunque’ – lo chiameremo d’ora in poi “Signor X” – c’è il risvolto forse più perverso: quando, fatti i conticini davanti al suo quaderno della partita doppia, il Signor X sceglie di accettare la verità pratica dello Stato, risparmiandosi così  stigma sociale, ostracismi, ritorsioni, sa già che il sistema gli richiederà di essere lui stesso esecutore di ostracismi e ritorsioni nei confronti di chi quella verità di Stato l’ha rifiutata.
Quanto detto finora basta a spiegare la ragazzona che in treno prima mangia flemmaticamente la focaccia e poi indossa la mascherina? Certo che no. Andiamo avanti…
Intanto, se ci limitassimo a quanto affermato finora, opereremmo una enorme semplificazione, peraltro falsata da smodato ottimismo: staremmo da un lato dicendo che ogni individuo ‘normale’ è nelle condizioni di compiere questa scelta intellettuale in modo libero e dall’altro suggerendo che chi non rinuncia alla propria razionalità potrà senz’altro e automaticamente riconoscere la natura mistificatoria della verità pratica, della Storia Sacra di Stato. Le cose non stanno per nulla così, è anzi un fatto incontrovertibile che tantissime persone di ogni estrazione sociale, di ogni grado di istruzione e delle più svariate competenze professionali, credono razionalmente alla verità pratica di Stato, o se magari non in toto, quanto meno nelle sue linee essenziali, quelle sufficienti a garantire loro il sonno dei giusti e vacanze spensierate.  
 

Di nuovo, però, la faccenda è puramente economica. Ma se finora ci siamo riferiti all’economia esterna, quella della vita materiale, dobbiamo ora fare i conti con l’economia interiore, quella che coinvolge la psiche e l’ego. Nel periodo Covid, la campagna di terrore, e a valanga la sospensione del meccanismo parlamentare e dei diritti civili con annesso ricatto vaccinale, sono stati resi possibili da una cosa fondamentale: il consenso, o altrimenti la assenza di dissenso, tanto formale quanto tradotto in opposizione concreta. Questo consenso inerme e inerte, ma potremmo definirlo anche inebetito, e persino allucinato, è stato estorto sia con la paura, variamente declinata (da quella primordiale della morte a quella sociale dell’isolamento dalla collettività) sia gettando l’amo della deresponsabilizzazione (lascio che altri più competenti decidano per me), tentazione a cui mai come in quest’epoca gli individui sono esposti, tanto è il terrore che sembra suscitare oggi l’esercizio del libero arbitrio. Nel XXI secolo noi siamo esattamente come un uomo delle caverne che, dopo essere sfuggito alla tigre dai denti a sciabola, seduto accanto al fuoco domestico, si gratta la testa e pensa a quell’altro problema: l’influenza che si sta diffondendo nella tribù, domandandosi se sia il caso di seguire gli ordini impartiti dal capo dopo che ha consultato l’indovino. L’indovino, già… l’esperto della tribù… E chi siamo noi per contraddirlo? Siamo forse anche noi indovini usciti dal master in divinazione? No! Quindi affidiamoci ai tecnici dalla divinazione, anche perché, se non lo facessimo, il resto della tribù ci guarderebbe male, e il capo ordinerebbe di espellerci a sassate. E poi… poi l’indovino ha detto che c’è un solo modo per guarire la tribù, che è sicuro, sicurissimo, e soprattutto ha garantito che funziona: dobbiamo tutti amputarci l’alluce destro e offrirlo in sacrificio all’idolo della Donna Obesa. Così, entro poche settimane, la febbre cesserà e torneremo a danzare al suono dei flauti fatti con tibie di capra.


Non sto dicendo nulla di nuovo, la conosciamo tutti questa storia: chi non crede al paradigma scientifico attuale, chi non si fida e affida al virologo-indovino ospite del programma televisivo o intervistato al telegiornale delle 20.00, chi non ride alle gag di Amadeus e Fiorello è un troglodita, un oscurantista, un cospirazionista, un complottista, un Bastian Contrario, un pazzo. Sì, in fondo, mi conviene crederci si dice quindi il signor X. Sembra proprio un buon affare…  
Per i vari Signor X, almeno all’inizio,  aderire alla verità pratica di Stato sembrava davvero un buon investimento, anche dal punto di vista della psiche e dell’ego: significava infatti stare dalla parte di Karl Popper, del mondo della scienza , degli ‘esperti’, di SuperQuark e Medicina33, di Gerry Scotti ,di Radio DJ e dei giornali, e quindi – per proprietà transitiva -  significava essere (o almeno percepirsi) altrettanto colti,  intelligenti e progrediti, così come – per contraltare – non aderire alla verità di Stato sarebbe per loro equivalso a schierarsi con le streghe e i loro seguaci: individui ignoranti e pericolosi, adepti dei circoli esoterici di Telegram.  E a maggior ragione quella scelta era buona e giusta perché, come vuole verità assiomatica (la stessa secondo cui l’uomo è un essere razionale), i governanti agiscono sempre per il bene della popolazione, mentre a voler male alla popolazione sono le streghe. Un investimento eccellente, non c’è che dire.
Peccato però che gli investimenti siano rischiosi e non sempre portano i risultati auspicati. Infatti passa il tempo e si scopre che una dose non basta a immunizzare, ce ne vogliono due…
Ohibò, l’indovino è tornato dal santuario e dice che è necessario anche amputarsi il quarto dito del piede… mmm…
Anzi, di dosi ne servono tre…
Ohibò, l’indovino è stato di nuovo al santuario e dice che La Donna Obesa gradirebbe anche il nostro mignolino…
Signor X: “Caspita, ne ho fatte tre e mi sono ammalato lo stesso… beh, però in fondo la punturina serviva a non prenderlo in forma grave… e poi chi ha mai detto che preveniva il contagio? Si sa che il vaccino non previene il contagio!”
Signor Y: “Certo, chi è l’idiota che lo ha mai detto? A parte ovviamente i giornali, i telegiornali, i virologi, i ministri, il mio capoufficio e il decreto di sospensione per i sanitari che si rifiutavano di iniettarsi quella cosa che “previene i contagi negli ospedali”?
 
Però, se non mi fossi amputato l’alluce sarei morto… invece ho solo la febbre altissima…
 
Signor Y: “Conosco persone rimaste invalide o addirittura morte dopo la puntura, eppure dicevano che era era sicuro.”
 
Signor X: “Ma suvvia, si sa che nessun farmaco è sicuro al 100%, nemmeno l’aspirina!”
 
Ehmmm… secondo l’indovino non è proprio certo che alla Donna Obesa piaceranno queste offerte… e poi… a qualcuno, dopo il taglio dell’alluce, è andato in cancrena il piede, e a qualcuno tutta la gamba...
 
Non serve andare oltre, che dite? Soffermiamoci piuttosto su un punto centrale, ossia quando il Signor X sostiene che la punturina serviva a non prenderlo in forma grave, che nessuno aveva mai detto che preveniva il contagio e che in fondo, nessun farmaco è mai del tutto sicuro. Qui sta il punto critico, qui vediamo che l’investimento economico a livello si psiche/ego si è rivelato fallimentare. Spieghiamoci meglio…
Oggi va tanto di moda l’Intelligenza Artificiale. Come noto, l’obiettivo è creare una rete neurale il più possibile simile a quella umana, e uno dei fondamentali algoritmi utilizzati a questo scopo è la retropropagazione dell’errore: “tecnica che consente la riduzione dell’errore che compie la rete neurale nel processo di apprendimento. Se si considera che la fase di apprendimento di una rete neurale si traduce in sostanza  nel ritrovare in  una funzione complessa il valore minimo o quanto meno uno dei minimi migliori, e se per farlo non si utilizza un approccio analitico, bensì iterativo, allora si comprenderà che un metodo semplice per risolvere il problema è quello di muoversi a piccoli passi sulla superficie della funzione  (Discesa del gradiente)   e via via ricalcolare i pesi della rete neurale partendo da quelli già noti e dall’ultimo errore calcolato per ridurre lo stesso.”[2]
 
 

Detto in soldoni, finché l’IA, alle prese con un problema, ottiene come risposta un errore, continuerà a tornare indietro e ad affrontare quel problema ricalibrando ogni volta i suoi parametri di indagine nel tentativo di venirne a capo.  Ora, la cosa buffa è che mentre il principio della retropropagazione dell’errore risponde all’esigenza di emulare le capacità della mente del Signor X, la mente del Signor X, nel momento in cui ha abbracciato i dogmi di Stato e giurato fedeltà alla Parola Rivelata del Ministero della Verità, non ha nessunissima intenzione di cercarvi eventuali errori, né tantomeno, nel caso gli fossero fatti notare da altri, di affrontarli in qualche modo. Al contrario, la sua unica, pressante preoccupazione è nascondere quanto prima ogni errore emerso: in altre parole, nella mente del Signor X, l’errore non viene retropropagato per essere ridotto, bensì retrodissimulato per essere dimenticato. Anzi, per dirla con Freud: rimosso. Quello che vogliamo sottolineare è un comportamento risaputo della mente umana, e cioè che essa è così devota alla causa del nostro Ego Magnifico (l’identificazione di noi stessi con la più meravigliosa, intelligente, saggia e amabile creatura esistente nell’universo) da truffare se stessa, piuttosto che dargli un dispiacere: compie cioè una falsificazione, riscrivendo orwellianamente il passato e rimuovendo il ricordo della sua previsione/convinzione errata per fabbricare al suo posto uno pseudo-ricordo secondo il quale ciò che si è poi verificato corrisponde puntualmente a  quanto aveva previsto.


 
Stiamo diventando dei buoni membri del Covid Fight Club, perché adesso lo stupore suscitato in noi dal confronto tra il Signor X  che prima dice: “Lo faccio perché serve a evitare il contagio” e poi dice: “L’ho fatto per non prenderlo in forma grave, e comunque si sapeva che non preveniva il contagio”  si sta parecchio ridimensionando: è sufficiente tenere in debito conto quanto il Signor X ha investito di sé aderendo alla Storia Sacra di Stato: soldi, carriera, vantaggi, e reputazione di uomo istruito e colto. Capite bene, il Signor X non può passare per fesso, né di fronte agli altri, né tanto meno di fronte a se stesso quando ogni mattina si guarda allo specchio per radersi; ergo, vieta alla sua parte razionale e analitica di fare a pezzi la Storia Sacra di Stato, perché ciò significherebbe fare a pezzi tutto il suo investimento, materiale e interiore. Dunque, ogni volta che un errore minaccia la serenità dell’Ego Magnifico, giù a martello con la retrodissimulazione dell’errore… E poi, non sia mai di darla vinta a quegli zotici ignoranti delle altre tribù secondo cui l’indovino di RAI 1 ha sbagliato! 
 
Considerando ora quanto questo meccanismo di difesa egoica è radicato e potente a livello individuale, immaginiamo che effetti devastanti può avere quando è un gran numero di persone ad attuarlo per difendere la Verità di Stato, e quindi il loro prezioso investimento materiale ed egoico. Queste persone, nell’aggregarsi, troveranno conforto e reciproca conferma di non essersi sbagliate, e accetteranno volentieri il silenzioso postulato di identità secondo cui la convinzione condivisa dalla maggioranza equivale alla verità (e questa non è che una diversa definizione della “verità pratica”, ma vista dalla prospettiva meschina dei polli in batteria). E perché questa suggestione si imponga a tutti i livelli nella società, non è nemmeno necessario che vi aderisca la maggioranza assoluta degli individui. Sarà sufficiente una certa massa critica, a condizione che sia talmente sovraesposta mediaticamente (e che corrispettivamente qualunque tesi opposta non abbia pubblicità alcuna) perché tale massa sia percepita come maggioranza assoluta e - di conseguenza – perché la convinzione di cui essa è portatrice assuma valenza di verità.
Arrivati a questo punto, oltre a meritare di sapere come questo flusso di coscienza arrivi a un certo punto alle bomboniere di zia Petunia e al carro da guerra miceneo, ci siamo dotati degli strumenti per diventare non solo bravi, ma persino autorevoli membri del Covid Fight Club: ci daremo infatti  da soli delle risposte, ad esempio riguardo al comportamento della ragazzona del treno.
L’effettiva inutilità e dannosità delle mascherine è un fatto non più oscurabile al dominio pubblico, al di là dell’assenza di prese di posizione ufficiali degli organismi politici e scientifici, e di ciò abbiamo se non un consapevole riscontro, quanto meno un riflesso fattuale nella progressiva e ormai massiccia rinuncia a farne uso da parte della collettività, con l’eccezione di speciali contesti all’interno di ospedali,  ambulatori ecc. e della quota fisiologica di individui a vario grado ipocondriaci. 

 

La ragazzona del treno era per caso ipocondriaca? Non direi proprio: un ipocondriaco che vive nell’era Covid (o che dall’era Covid è stato creato) rabbrividirebbe al solo pensiero di cibarsi in un luogo pubblico stipato di untori come la carrozza di un treno, per di più in pieno periodo influenzale. D’altra parte, molti di noi avranno visto gruppi di amici/colleghi seduti insieme a desinare o fare l’aperitivo indossando la mascherina e abbassandola solo al momento di portarsi cibo e bevande alla bocca. Queste persone avevano una autentica paura di ammalarsi e morire? Certo che no: indossavano la mascherina non solo perché temevano l’uno il giudizio dell’altro, ma anche e soprattutto perché temevano il giudizio di se stessi, che è condizione necessaria per giudicare gli altri (se rischio di dare dello scemo a me stesso, allora sono autorizzato a darlo a te alla prima occasione…). L’esigenza dei vari Signor X – non dei veri ipocondriaci – di perseverare nell’automatismo della mascherina nulla ha a che fare con la paura della malattia e della morte, ma è vagamente simile alla necessità di esibire l’argenteria di casa a un ospite di riguardo e parecchio simile all’obbligo di esporre le bomboniere quando viene a farci visita zia Petunia.  
Sapete benissimo di cosa parlo. Tutti noi abbiamo avuto a che fare – o quanto meno ne abbiamo sentito parlare – con i parenti che ci tengono: gli zii, i cugini, i cognati che festeggiano, invitano e si aspettano di essere invitati a ogni matrimonio, battesimo, comunione, cresima fino al quarto grado di parentela. Nella loro concezione dell’esistenza, questi eventi devono essere celebrati con la solennità di un’incoronazione imperiale e lo sfarzo di una festa di gala a Versailles al tempo del Re Sole. Affinché poi venga serbato ricordo imperituro di tanto splendore (e dell’investimento in esso profuso) vi è l’immancabile distribuzione di ciondoli, catenine, braccialetti commemorativi e – in particolare – delle famigerate bomboniere.  I parenti che ci tengono lo fanno perché è tradizione, una tradizione a cui aderiscono con convinto fervore, inesauribile devozione: attenervisi, oltre a produrre endorfine e un più metafisico appagamento, è parte integrante della loro rispettabilità: sono persuasi infatti che gli altri parenti si aspettino da parte loro tutto questo e che rimarrebbero mortalmente feriti se mai dovessero venir meno a tale dovere o, peggio, se in occasione di uno di questi eventi non fossero invitati.  Può capitare così, nel corso degli anni, di partecipare al matrimonio e alle Nozze d’Argento di zia Petunia, al battesimo, alla comunione e alla cresima dei suoi quattro figli, ai matrimoni di due dei quattro figli e ai battesimi dei nipoti di zia Petunia nati da quei matrimoni. Il tutto tradotto in circa una ventina di bomboniere, più o meno terrificanti, e a meno che in noi non alberghi una natura perversa (o simile a quella di zia Petunia, il che è lo stesso), quelle bomboniere le avremo avvolte in carta di giornale e chiuse in uno scatolone riposto in solaio, oppure in cantina, o nel cassettone di un letto.  E lì rimarranno, almeno finché non viene a trovarci zia Petunia… Il fatto è che prima o poi, che lo vogliamo o no, zia Petunia verrà a trovarci. Allora, ecco la febbrile ricerca dello scatolone (dove accidenti lo abbiamo messo?), lo sgombero brutale di vetrine e ripiani del soggiorno, l’apertura delle palle di giornale, la spolverata dei tristi soprammobili e la loro collocazione nelle vetrine e nei ripiani del soggiorno… Perché zia Petunia ci tiene e quando entra in casa nostra, si aspetta di vedere le sue bomboniere.
Potremmo mai spezzare il cuore di zia Petunia, rivelandole il nostro totale disinteresse per le sue orribili bomboniere? 
 

Sostituiamo adesso le bomboniere con la mascherina…


E zia Petunia? Beh, finché zia Petunia sono gli amici, i parenti, il capo ufficio, abbiamo visto che il problema è relativo: tireremo fuori dallo scatolone le bomboniere (la mascherina) solo quando zia Petunia verrà a casa nostra  (solo quando gli amici, i parenti e il capo ufficio ci guardano). Ok, forse non sarà una sola volta all’anno, magari due o tre… ma ci stiamo ancora dentro.
Come la mettiamo però quando zia Petunia è il nostro Ego Magnifico? In quel caso, non potremo più riporre le preziose, fragili e ingombranti bomboniere di zia Petunia (le nostre bomboniere) in uno scatolone, ma dovranno restare in soggiorno vita natural durante.
E come la mettiamo quando la verità pratica di Stato cui abbiamo aderito comincia ad andare in pezzi sotto la pressione implacabile della realtà fattuale (quando le bomboniere cominciano a spostarsi perfidamente in punti pericolosi della nostra casa, e addirittura cadono a terra davanti ai nostri occhi)?  Se noi non vogliamo accettare l’idea di avere avuto torto, se non possiamo permetterci di dire al nostro Ego Magnifico che è un povero imbecille, che ha creduto scientemente a un mucchio di cretinate, e che il suo eroico gesto lo faccio per gli altri  non è altro che una balla autoedificante per negare di aver ceduto a un ricatto, allora l’affare si rivela molto meno vantaggioso di quanto sembrasse all’inizio, anzi… il quaderno della partita doppia piange e ora ci tocca sudare parecchio. Finché sarà tollerabile, accetteremo di credere a giustificazioni, spiegazioni e teorie ufficiali sempre più arzigogolate, così improbabili e contorte da far scempio del rasoio di Occam (aggiusteremo la bomboniera con la colla a presa rapida e amen per i frammenti irrecuperabili…). Quando la menzogna sarà palese (e pure confessata dai media con una banale alzata di spalle, o peggio tra una risata e un servizio di gossip), beh, allora premeremo il pulsante rosso, ci convinceremo che non è mai stata detta o che noi almeno non vi abbiamo mai creduto davvero (butteremo la bomboniera e ce ne dimenticheremo): al mio via, scatenate la  retrodissimulazione dell’errore!
Adesso, suppongo, è molto più facile comprendere cosa è accaduto dentro la ragazzona del treno: ha dato la precedenza al bisogno fisico di mangiare, ossia ha soddisfatto  – per usare le parole di Epicuro - il piacere necessario e naturale della focaccia, dopo di che ha risposto al citofono (al bisogno psicologico, egoico) e, udita la voce di zia Petunia (il suo Ego Magnifico),  si è affrettata a tirar fuori le bomboniere (la mascherina).
Quanto finora esposto a proposito delle bomboniere ci spinge inesorabilmente a fare ulteriori considerazioni sui soprammobili, sia in senso proprio che, ancora, in senso metaforico. Intanto, i soprammobili possiedono alcune caratteristiche comuni: ingombrano, non servono (quasi) a niente e stanno dove stanno per qualche motivo, di solito in virtù del loro valore sentimentale, ma potremmo dire anche psicologico (apparteneva a nonno Flavio e prima di lui – si racconta - a Garibaldi…).  



 

Naturalmente ci sono casi ‘ibridi’: molti soprammobili hanno anche una pur ridotta funzionalità, per lo più sacrificata all’estetica: penso a una biro innestata dentro un’enorme piuma di pavone, difficile da usare sia per lo sbilanciamento dell’aggeggio sia perché la sfera, ovviamente, gira malissimo; ma penso soprattutto a un oggetto nel soggiorno della casa dei miei nonni: un grosso uovo di pietra metamorfica levigata che poggiava su un tavolino fatto della stessa pietra metamorfica verdastra. Sulla cima di questo uovo era innestato un piccolo accendino, ma il peso e la poca maneggevolezza dell’oggetto ne sconsigliavano qualunque utilizzo diverso dall’accendersi – non senza qualche difficoltà - una sigaretta; e se mai un tempo quell’accendino funzionò, quando io ebbi modo di azionarlo, era fuori uso. Eppure l’uovo si trovava lì. Per quale ragione? Banalmente, perché faceva pendant col tavolino? O magari perché il tavolino e l’uovo erano un regalo di Y, oppure venivano dall’Africa ed erano una specie di cimelio di famiglia? Forse qualcosa del genere, non ricordo… Quante cose stanno lì e ci si dimentica il perché…  
E quanto detto ci guida finalmente, con il filo d’Arianna un po’ tortuoso delle libere associazioni, a parlare del carro da guerra miceneo. Nell’antichità, i carri da guerra erano parecchio in voga: Sumeri, Assiri, Ittiti, Egiziani, più tardi i Celti. Anche i Greci li adoperarono, ma quelli dell’Età del Bronzo, quelli che abbiamo imparato a conoscere a scuola con il termine Micenei e che Omero invece chiama Achei o Danai. È importante rammentare che se pure è stata composta intorno all’VIII secolo a.C., l’Iliade attinge a una tradizione di canti più antica, dato che la vicenda della guerra di Troia si colloca appunto nella tarda Età del Bronzo, ossia l’ultimo quarto del II millennio a.C. Ora, nei secoli intercorsi tra quella guerra e la composizione dell’Iliade, si è verificata una cesura nota come medioevo ellenico, cesura di tale entità (crolli di regni, migrazioni, mutamenti socio-politici, culturali, religiosi, tecnici e linguistici) che il nostro Omero non sempre aveva le idee chiare su come funzionassero davvero le cose al tempo degli eroi che cantava; peraltro, rifacendosi a un patrimonio consacrato  di versi formulari e di episodi molto dettagliati, non poteva esimersi dal parlare di aspetti particolari che il suo uditorio si aspettava  - pretendeva magari – di ascoltare, un po’ come quando al cinema, durante una scena di inseguimento in un suk, ci aspettiamo che qualcuno rovesci il carretto della frutta, ma soprattutto come zia Petunia che si aspetta di trovare esposte le sue bomboniere quando viene a trovarci…
Il carro da guerra miceneo era qualcosa del genere, e infatti nell’Iliade vi si fa riferimento con una certa frequenza, a come è costruito[3], persino al suo impiego in combattimento[4], senonché, quando Omero viene al sodo, cioè alle battaglie nella piana di Troia, questi carri non sono mai impiegati. Ci accorgiamo che i capi achei li usano solo per arrivare o allontanarsi dal campo di battaglia, come i giocatori di golf usano le caddy elettriche per spostarsi da una buca all’altra. È evidente, quindi, che al tempo del nostro poeta, nessuno sapeva più chiaramente come venisse impiegato il carro da guerra nell’Età del Bronzo; ma se ora, nell’Età del Ferro, esso ha perduto la sua utilità militare, è in compenso assurto a venerando cimelio, la cui grande valenza iconica lo ha reso un must dell’epica guerresca (quante cose stanno lì e ci si dimentica il perché…). 
 

Vi chiederete, all’ennesima svolta di questo labirinto di associazioni, se ne stiamo uscendo: cosa c’entra, per la miseria, tutto questo con la ragazzona del treno, il Signor X e il Covid?
C’entra eccome. E sapete una cosa? Via via che questo fluire di pensieri, questo intrecciarsi di connessioni e idee scende in profondità (un po' come la retroprogazione dell'errore, che scende sempre più in profondità nella funzione per ridurlo...), mi rendo maggiormente conto di quanto tutto sia grottesco, tragicomico, e rappresenti una specie di Storia naturale della stupidità umana. E se all’alba della nuova Intelligenza Artificiale volessimo portare in piena luce la nostra Stupidità Naturale e capire davvero il comportamento della ragazzona del treno e dei vari Signor X in cui ci imbattiamo ogni giorno, basterebbe pensare alla mitologia di Stato riguardo al Covid come all’Iliade, e allora ci renderemmo conto che il “tampone per il Covid” non è altro che il carro da guerra miceneo. Siamo arrivati alla fine dell’autunno del 2023, e molti di noi hanno assistito all’autentica pantomima di amici, conoscenti, parenti, colleghi che dicevano di essersi ammalati, di avere la febbre, il mal di gola e la tosse, di avere fatto il tampone e che “fortunatamente/sfortunatamente non si trattava/si trattava di Covid”.  
Sebbene l'attendibilità del tampone per il Covid sia stata a buon diritto oggetto di dibattiti, per capire a cosa esso è servito prima e a quale pantonima ci abbia infine spinto sul finire del 2023, deve innanzitutto essere chiaro che l'attendibilità non ha alcuna rilevanza. Quel che conta davvero, invece, è il tempo e il fatto che questo “tampone” un esito lo dà, reale o falso che sia.  Seguitemi ancora un poco… Quando il Moloch di Stato ha sospeso i diritti civili e imposto de facto l’obbligo vaccinale (chiamiamola Fase 1), il tampone per il Covid è stato massicciamente utilizzato in quanto costituiva una reale e decisiva discriminante (l’esito, vero o falso che sia) per la vita materiale della stragrande maggioranza della popolazione. Ciò, ovviamente, a titolo diverso per gli ipocondriaci, i devoti alla Storia Sacra di Stato e le streghe. Gli ipocondriaci ne temevano il verdetto (la salute prima di tutto, la mia salute, prima di qualunque cosa e persona, prima dei princìpi, prima dell’etica, e prima di quell’untore del mio vicino di casa che non indossa la mascherina…). I devoti, diversamente, prendevano atto del verdetto del tampone con deferente lealtà e con quell’entusiasmo amministrativo ben descritto da Dostoevskj in un passo dei Demoni: pronti, se negativi, a trarre un sospiro di sollievo e felici di poter continuare a esibire come prima la tessera di purezza virale ariana al ristorante; altrettanto pronti, se positivi, a compiere quanto richiesto al cittadino responsabile: isolarsi, comunicare sui social la propria condizione medica (non dimenticando di sottolineare la fortuna benedetta di aver evitato la rianimazione o peggio la morte  grazie al vaccino), ricostruire e segnalare all’autorità sanitaria la potenziale rete di appestati prodottasi, seguire il bollettino giornaliero dei contagiati, morti e dispersi, informarsi sulla percentuale di occupazione delle terapie intensive e assicurarsi tramite ricezione radio che “la guerra contro il nemico invisibile e le streghe continua a fianco dell’alleato germanico”. E le streghe? Beh, molte streghe , finché hanno potuto, si sono servite dell’esito negativo del tampone (vero o falso che fosse) per continuare a lavorare; dopo di che, chiusasi la trappola dell’obbligo vaccinale per determinate categorie, molte streghe hanno dovuto sperare nell’esito positivo del tampone (vero o falso che fosse) per tornare, a guarigione di Stato avvenuta, nella società civile e riprendere a lavorare e non morire di fame.
Finita l’onda di terrore, di minacce ed estorsioni, si entra in una nuova fase (chiamiamola Fase Intermedia) in cui scadono i termini dell’obbligo vaccinale e l’emergenza Covid va via via ridimensionandosi, pur  sempre col beneplacito della verità pratica di Stato, in quanto quell’emergenza, rispetto alla sua utilità di strumento coercitivo e di controllo sociale, mostrava segni di stanchezza e pertanto doveva lasciare spazio ad altre emergenze (clima e guerra). Le cose ad ogni buon conto cambiano, l’isolamento per positività Covid da obbligatorio diventa solo  raccomandato, va poi a decadere l’obbligo di mascherine  sui mezzi pubblici. Certo, girano le varianti, a cui si danno nomi inquietanti nella speranza di un nomen omen  o verba sunt consequentia rerum… ma niente: non sfondano. I fedeli della Storia Sacra di Stato ci sono sempre, ma non mostrano più la stessa energia di prima e nascondono le zanne dietro un sorriso: il loro consenso passa da aggressivo ad aggressivo passivo, e infine scende al minimo di giri, cioè passivo: li vedete, sono taciturni, mugugnano persino… Molti stanno pure male, peggio di prima, alcuni sono persino morti… Ma in fondo, finché succede agli altri, ancora gli conviene.
Si entra così in una nuova fase (chiamiamola Fase 2): essa registra il ritorno dal suo anno sabbatico dell’influenza, a cui il Covid aveva rubato la scena e la responsabilità di cataste di cadaveri (pensiamo ai morti attribuiti all’influenza nel 2016…). Beninteso, l’influenza torna solo perché lo ha voluto la verità pratica di Stato. Anzi, la verità di Stato, constatando che il Covid non se la passa affatto bene, ha pensato bene di affiancargli l’influenza come alleata e così imbastisce una campagna vaccinale doppia: Covid + influenza (potremmo chiamarla  "la campagna vaccinale Maxi Bon": du gust is megl che uan).   
Nel frattempo è apparso, a confondere le idee e a quietare i turbamenti dei devoti meno convinti, anche il tampone Maxi Bon, quello Covid/Influenza … Ma lasciamolo stare: ci farebbe smarrire la ragione in modo irrecuperabile. 
 

Occupiamoci del tampone per il Covid tout court: nella Fase 2 non ci sono più le restrizioni, le norme di isolamento e gli obblighi vaccinali. In questo scenario, il tampone per il Covid cessa di essere discriminante (l’esito, vero o falso che sia) per la vita materiale della popolazione, come lo era invece nella Fase 1. Stando così le cose, chi mai si farà i tamponi nella Fase 2? Non certo le streghe, e nemmeno i seguaci passivi e mugugnanti della verità pratica di Stato, tra i quali è giusto annoverare la squallida genìa dei “dritti”, quelli che in Fase 1 e in Fase intermedia pretendevano che i colleghi facessero il tampone al primo starnuto, o anche solo perché erano stati a stretto contatto con un positivo, ma che con gli stessi presupposti a loro carico si rifiutavano a loro volta di farselo perché, se malauguratamente fosse risultato positivo, gli sarebbe andata a mignotte la settimana bianca… Il tampone lo fanno piuttosto gli ipocondriaci: se l’esito è negativo, sospirano di sollievo e possono continuare a temere la Morte Nera con più allegria domani (domani è un altro giorno, diceva Rossella O’Hara); se è positivo, lo comunicano prontamente su Facebook, in attesa di post di solidarietà e rassegnati a sperimentare – anche se non con la stessa tensione mistica della Fase 1 – il brivido di un eventuale ricovero, confortati però dalle visite di amici e parenti dietro il vetro della terapia intensiva. Il tampone lo fanno poi i devoti della Storia Sacra, gli entusiasti amministrativi, gli investitori della verità pratica di Stato, i quali peraltro cominciano a nutrire dubbi sull’arrivo dei dividendi sperati, ma ancora non vogliono arrendersi, e si convincono che ribadire la fedeltà alla verità di Stato porterà loro dei benefici, prima o poi. Ma se attualmente soldi, lavoro e libertà di spostamento non sono in pericolo, cosa mai li spinge a tamponarsi? La risposta è ovvia:  il bisogno di difendere il proprio Ego Magnifico (Hanno suonato al campanello... Cielo, è zia Petunia!). Se i devoti non facessero i tamponi, ammetterebbero di non credere nella Scienza, di essere stati truffati dalle Istituzioni e darebbero ragione ai barbari incolti e negazionisti che infestano Telegram… Dunque, che tampone sia: in caso di negatività, i devoti trarranno un sospiro di sollievo e comunicheranno di persona e via social la loro felice condizione a parenti, amici e colleghi; in caso di positività, invece, trarranno un sospiro di sollievo e comunicheranno di persona e via social la loro felice condizione a parenti, amici e colleghi perché “per fortuna si sono vaccinati”.


Tutto ora dovrebbe essere chiaro: durante la Fase 1 (l’Età del Bronzo) il tampone per il Covid (il carro da guerra miceneo) era usato efficacemente per poter lavorare, per far scattare il periodo di isolamento e poi tornare a lavorare, per ottenere la carta verde nazista di guarigione (per spostarsi e combattere in battaglia). Si passa poi, attraverso le trasformazioni di una Fase intermedia (il Medioevo ellenico) alla Fase II (l’Età del Ferro di Omero) in cui il tampone miceneo per il Covid è ormai inutile, e nessuno o quasi lo utilizza, e se qualcuno lo utilizza, lo fa con finalità personali, soggettive, psicologiche svincolate da qualsiasi necessità o obbligo legale e amministrativo. Il tampone per il Covid, sul finire del 2023, è un mero cimelio storico. Lo sanno bene tanto le streghe quanto i “dritti”: le streghe e i “dritti”, pur così diversi e lontani eticamente, sono però entrambi come i Greci dell’Età del Ferro: non hanno nessuna intenzione di usare i carri da guerra, e quando, sul finire del 2023, sentono parlare di tampone per il Covid, per loro è come sentire Omero narrare dei carri da guerra durante l’assedio di Troia. Gli ipocondriaci, no: loro vivono l’Età del Ferro come se fosse quella del Bronzo: ritengono che il carro da guerra non sia affatto superato (che non sarà mai superato) e che lo si debba usare ancora in battaglia. Quanto ai devoti della sempre più sgangherata Storia Sacra di Stato, dalla cui veridicità dipende la magnificenza del loro povero, bistrattato Ego, costoro sono ascoltatori di Omero che, rapiti dalle imprese di Agamennone, Ettore e Diomede, sono colti dal sonno, e in un sorta di dormiveglia, sognano a tratti di vivere essi stessi quelle vicende, e non hanno ben chiaro se e quanto gli convenga continuare così, se non che ogni tanto gli arriva una gomitata dal tizio seduto accanto a loro, che li fa sobbalzare richiamandoli a forza alla realtà.
Fuor di metafora, la pantomima del Covid 2023 consiste nel non voler prendere atto fino in fondo che se una persona ha il raffreddore o febbre, indipendentemente dal fatto che si voglia chiamarla “influenza”, “Covid” o “Morbillo Arcobaleno”, si comporterà nello stesso identico modo: stando a casa a curarsi finché non sia guarita, come sempre si è fatto in passato, e senza altre implicazioni (magari rimpiante dagli ipocondriaci e dai devoti) di carattere amministrativo o legislativo (leggi Fase 1).  Di conseguenza, ricorrere al tampone oggi, sul finire del 2023, è da ipocondriaci nel migliore dei casi, e una forma di devozione schiavile alla verità pratica di Stato nel peggiore.
Giunti alla fine del viaggio, io personalmente credo di capire meglio la ragazzona del treno che mangia flemmatica la focaccia e poi si maschera, e anche il Signor X che si ostina a credere alla Storia Sacra di Stato e a farsi la barba fischiettando ogni mattina, in barba al rasoio di Occam. Quanto a voi che avete avuto la pazienza di leggermi fin qui, spero di avervi offerto una chiave di lettura plausibile per le assurdità a cui assistiamo ancora in questi tempi bui. D’altra parte è ora di smetterla di stupirci, è tempo di iniziare a darci delle risposte e, nel caso, di picchiare come fabbri.

Sono le regole del Covid Fight Club…



[1] Le 2,4: “... Offrirai focacce azzime di fior di farina intrise con olio...”.

[2] https://www.domsoria.com/2021/02/cosa-e-la-back-propagation-dellerrore/

[3] Il. V, 262, 322, 722-732; X, 475; XI, 535; XVI, 406; XX, 500-501; XXI, 38.

[4] Il. IV, 293-309; XI, 718; 742-748.