Il mondo occidentale è andato spesso al mercato dell'Oriente e - in generale - dell'esotico.
Stili e mode orientalizzanti, egittizzanti, indianeggianti, sinizzanti e africaneggianti, da secoli, non si contano.
Un tempo, con un punto di vista storico-retrospettivo, si faceva la storia delle civiltà chiamando in causa il fenomeno, non meglio esplorato nei suoi meccanismi profondi, delle "influenze culturali".
Nell'attuale sistema globale è, paradossalmente, difficile parlare di influenze culturali in quell'accezione classica, visto che le compagini nazionali - con le loro rispettive 'culture' identificanti, vanno sempre più erodendosi.
Oggi accade più facilmente che un prodotto esotico si conficchi nel mercato nostrano, privo di qualunque contesto, per diventare qualcosa di totalmente o quasi alieno dal suo contesto originario.
Ciò è accaduto anche al 'tatuaggio'.
Oswald Spengler osservava, nel descrivere cos'è una 'influenza culturale', che non sono i prodotti provenienti da un'altra cultura a influenzarne di per sé un'altra, ma sono piuttosto alcuni individui ricettivi e creativi a trarre da questi prodotti qualche elemento vitale per poi rimetterlo creativamente in circolazione nel loro contesto.
Tutto ciò che di esotico arriva all'interno di un'altra cultura riesce a circolarvi con successo sempre in seguito a un fraintendimento creativo. Di fraintendimento infatti bisogna parlare, e necessariamente, in quanto tutto ciò che nasce e si sviluppa in una cultura non può in nessun modo essere esportato altrove conservando il senso e i significati originari della cultura che lo ha prodotto.
In Occidente, il tatuaggio ha subìto il destino di molti altri prodotti esotici, passando da atto rituale a moda. Ciò non ha nulla di sorprendente, visto che la nostra civiltà ha perso interesse nei riti. I riti oggi non hanno più significato e ciò che non ha più significato resiste per un certo tempo come guscio formale vuoto, puro ossequio alla tradizione, e successivamente, al cedimento di questo filo sottile, si perde del tutto.
Ovviamente anche presso di noi l'atto di scarificazione ha conservato in qualche forma, una componente 'rituale', ma buffamente ribaltando la valenza sociale dell'atto di tatuarsi.
Perché? Perché nella cultura occidentale la scarificazione è un tabù.
E' una questione di mero relativismo culturale: in molte culture africane sarebbe tabù - empio - NON tatuarsi, in quanto la scarificazione è necessaria a collocare l'individuo nella società: lo identifica, lo posiziona, lo qualifica, lo colloca nel sistema indiscutibile e collaudato di gruppi tribali, totemici, stabilendo con chi è lecito sposarsi, quali cibi è consentito mangiare, quale animale sacro è il suo nume tutelare e non dovrà mai uccidere.
Al contrario, presso di noi, scarificarsi è tradizionalmente un atto brutale, da selvaggi: il senso di ritualità che gli si dà, quindi, è esattamente l'opposto: compiere un atto potenzialmente antisociale, riprovevole o scandaloso.
Tutto ciò che nasce e si pratica come atto culturale in un determinato contesto, se esportato in un contesto non affine, viene frainteso e depotenziato a moda.
Non dico che sia né bene né male, ma è agevole osservare, come conseguenza di questo processo, certe derive buffe e grottesche, quale stimolo a riflessioni di ordine antropologico, psicologico, semiologico e - perché no? - cazziologico.
Per non essere noioso e pedante, farò solo una brevissima escursione su questi punti.
I tatuaggi - come espressione viva di una cultura - sono portatori di significato. Questo significato è espresso attraverso la simbolizzazione astratta ovvero forme di più o meno accentuata stilizzazione di elementi riconducibili al mondo reale (animale, vegetale).
In particolare, tanto nella forma espressiva della scarificazione, quanto in altre modalità rappresentative (pittura vascolare, incisione e pittura su pietra, piccola statuaria, monili, anelli, sigilli ecc.) il trascendente, i valori o i contenuti che rimandano al divino e all'ordine divino nella natura, ma anche i codici di appartenenza sociale, tribale, totemica, sono allusi, indicati o iconizzati attraverso il simbolismo astratto o la stilizzazione.
La riproduzione fedele della realtà è totalmente estranea al senso e alla funzione del tatuaggio inteso come categoria antropologica di espressione culturale.
L'uomo occidentale invece, seguendo una bussola impazzita - impazzita perché non ha un nord culturale e rituale da seguire, ma infinite suggestioni che vanno dal nome della fidanzata al volto del figlio, dal gruppo musicale alla passione per il whisky, l'automobilismo, o un romanzo - ha l'imbarazzo di scegliere come illustrarsi: di che cosa farsi vetrina per raccontare che cosa è, o sotto quale sfaccettatura vorrebbe che gli altri lo vedessero: ciò significa essere sottoposto a forze contraddittorie, a lusinghe di immagini - rappresentazioni di sé che vanno dal futile al serio, dal religioso al sessualmente trasgressivo.
L'uomo occidentale (maschio e femmina), così propenso al lato yang e preoccupato di saturare il vuoto fino ad avere il pieno, cade inevitabilmente preda dell'horror vacui: una parte illustrata del suo corpo, proprio perché minima e isolata, sviluppa facilmente bramosie di espansione, cui difetta spesso un piano regolatore con l'effetto di proliferazioni incontrollate, e conseguenti ripensamenti, sovrapposizioni, correzioni e orrori.
Il processo di scarificazione progressiva che porta l'individuo a diventare un homo totus pictus, l'uomo interamente tatuato, esiste anche come gesto rituale, culturale, (noi occidentali, fraintendendolo, lo vedevamo- come l'uomo illustrato di Bradbury - alla stregua di mero fenomeno da baraccone), ma è il risultato di un processo che non conosce incertezza, né l'angoscia kirkegardiana della scelta: è guidato invece da una naturale saggezza, perché sa precisamente che cosa vuole dire, raccontare.
Ove il tatuaggio diventa moda, depotenziamento dell'atto culturale, l'homo totus pictus può essere, nella migliore delle ipotesi, la tela vivente di un'opera artistica ben congegnata, e nella peggiore, un coacervo contraddittorio di accumulazioni isteriche, il cui unico autentico significato espresso è la disperata volontà di significare qualcosa di interessante per qualcuno, a partire da se stessi.
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